“Giaci”, da cinquant’anni sinonimo di cocktail

Dalla Mora: «Decisi che serviva differenziarsi dagli altri classici bar dell’epoca» Il ruolo fondamentale della moglie Ester: «Quando mancò andai in crisi»



. “Andiamo a prendere l’aperitivo da Giaci? ”. I giovani di Santa Giustina e non solo, la pronunciano spesso questa frase. Stare assieme condividendo pensieri, racconti, storie, davanti ad una vasta scelta di cocktail in un locale che ha fatto e continua a fare storia. «Ma i nostri racconti partono da lontano, tanto lontano», ci racconta tra commozione e orgoglio Giacinto Dalla Mora, storico proprietario del locale. «Questo è un bar aperto addirittura nel diciannovesimo secolo. Idea di mio nonno Angelo Muraro: allora era l’Osteria al Pont, trovandoci proprio a due passi dal Veses».

E da lì è iniziato un percorso bellissimo. «Direi proprio di sì. Per un periodo l’avevamo affittato, fin quando non è subentrata mia mamma Sara. Tanti anni sotto la sua gestione. Naturalmente era diverso dal Giaci di ora. La classica osteria per intenderci, come molte se ne trovavano qui in zona». Sino al 1969. «Quello è stato l’anno in cui le cose sono cambiate. Abbiamo tirato giù l’intero edificio, ricostruendo da capo bar e pure la nostra casa al piano superiore. Però mia mamma ormai non se la sentiva più di andare avanti. Così il passaggio di consegne al sottoscritto e a Tiziano, mio fratello, è stato inevitabile. Lì per lì l’intenzione era fare bar sopra, dove si trova quello attuale, e taverna sotto. Mio fratello però, dopo un po’ di tempo, ha perso l’entusiasmo per questa attività, così nel 1975 sono rimasto solo io a gestire».

Iniziava il cammino del nuovo Giaci. «Mi rendevo conto del fatto che fosse un bar troppo simile agli altri: offrivamo il biliardo, giochi vari... Insomma il solito all’epoca, niente di innovativo. Bisogna pensare qualcosa, puntare su una clientela diversa. Ma si sa, bisognava sempre fare i conti con i soldi a disposizione e allora le prime innovazioni sono avvenute in economia. È stato nel 1982 che abbiamo cambiato l’arredamento e quant’altro. Ecco, si può dire che quasi 40 anni fa è nato il Giaci conosciuto oggi da tutti».

C’è la frase famosa secondo cui dietro un grande uomo, c’è sempre una grande donna. Anche per Giaci è stato così: «Mia moglie Ester? Fondamentale nella mia vita, sia personale e sia lavorativa. Ci siamo sposati nel 1969, però a lei all’inizio non piaceva stare al bar. Le cose però prendono sempre risvolti diversi, inattesi. Non si può mai sapere quali strade intraprenderemo nella nostra vita. Passando il tempo si è affezionata a locale, clienti, diventando punto di riferimento. Se Giaci è il locale conosciuto tutt’ora molti dei meriti sono suoi. Sceglieva personalmente bariste, arredi e quant’altro. Dieci anni fa è mancata improvvisamente, mentre cucinava a casa. Un momento difficilissimo che mi ha mandato in crisi, lo ammetto. Ancora adesso mi manca enormemente».

Tornando agli anni del rilancio del locale, lei allora si specializzò. «Esatto. Corso a Venezia per imparare a fare cocktail. Niente di impegnativo, intendiamoci. Bastava conoscere una lingua straniera, ed io portai il francese, il resto lo fece la passione. Attestato e piena libertà di inventare». Ancora adesso, specie tra i più giovani, si va da Giaci per l’aperitivo. «Iniziai con cinque o sei cocktail, poi dieci, venti, cinquanta… Chi veniva qui aveva una vasta gamma di scelta. Va detto che erano indubbiamente gli anni buoni. Il venerdì e il sabato sera eravamo la tappa iniziale prima di andare al Dodo’s di Salce. Un locale famosissimo, che richiamava gente pure da fuori provincia. Altro bel piglio fu la terrazza esterna, perché d’estate si sta benissimo a sorseggiare qualcosa vicini al torrente. E pure d’inverno, quando ci sono feste, mettiamo i funghi che scaldano e tanti siedono lì».

Sulla carta, Giacinto Dalla Mora è andato in pensione 1997: «Esatto. Il testimone l’ho lasciato a mia figlia Elena e a suo marito Fabrizio. Poi ci sono i dipendenti, il cui numero varia in base alle serate». A Santa Giustina si è spesso parlato di questa possibile variante esterna per togliere il traffico dal centro cittadino. «Sarebbe la morte del paese. Passerebbe davvero poca gente qui, e tutte le attività commerciali ne risentirebbero. Dunque, va bene la regolamentazione del traffico, ma forse è meglio avere pazienza e comunque ricordarsi gli indubbi benefici portati da un vivace via vai di persone. Occorre prendere con estrema attenzione queste decisioni».

Le emozioni più belle, a distanza di tanti anni? «I ricordi delle persone, alcune delle quali non le conosco neppure più. “Guarda che noi venivamo sempre una volta”…e sono signore e signori di tutta la provincia o da Treviso. Ancora adesso si fermano, salutano, fanno due parole sui tempi andati. E si ricordano anche di mia moglie, naturalmente». —



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