Frasi razziste in piazza d’armi alla Salsa di Belluno. Condannato un sergente del 7° Alpini

BELLUNO. Razzismo alla caserma Salsa. Condannato a un anno e sei mesi di reclusione il sergente maggiore capo Carmelo Lo Manto. L’alpino del 7º Reggimento era a processo davanti al Tribunale militare di Verona per il reato di diffamazione aggravata dall’odio razziale nei confronti dell’allora capitano di origini marocchine Karim Akalay Bensellam. Fra le altre cose, un suo superiore, che nel frattempo è stato promosso maggiore e, in questo momento, lavora ad Aosta. La sentenza del collegio di giudici, per frasi pronunciate pubblicamente e alla presenza di più persone come «sto’marocchino di m...», è andata oltre la richiesta del pubblico ministero Di Camillo, che si era fermato a quattro mesi.
Il pericolo era anche quello della sospensione dal servizio, ma di questo ieri non si è parlato e, comunque, è poco meno che scontato il ricorso in Appello. Bensellam si era costituito parte civile con l’avvocato romano Massimiliano Strampelli, che ha chiesto la condanna alla pena ritenuta di giustizia e un risarcimento danni, per il momento riconosciuto nei termini di 4 mila euro. Il resto potrà essere quantificato in separata sede, dopo l’avvio di una causa civile. Era sicuro della piena innocenza di Lo Manto, invece, il difensore di fiducia Antonio Vele che puntava all’assoluzione con formula piena. Neanche con quella dubitativa. Quindici giorni per le motivazioni della sentenza, in questo se ne parlerà con l’anno nuovo, ma non è escluso che siano disponibili già nelle prossime ore.
Nell’udienza definitiva del dibattimento, è stato ascoltato un testimone della parte civile, che nella prima fase del processo non era nella lista ed era stato sentito solo da Strampelli in sede di indagini difensive. L’uomo si è fatto avanti in un secondo momento dopo aver letto l’ultimo articolo sul giornale e ha confermato che Lo Manto discriminava Bensellam. La sua deposizione può anche non essere stata decisiva, di sicuro la rafforzato anche la tesi dell’accusa.
Era stata la collega Elena Andreola la prima a confermarla: «Durante l’alzabandiera, era consuetudine sentire Lo Manto apostrofare Bensellam. Non si curava per niente del fatto che fossero in molti ad ascoltarlo». Mentre i testi della difesa hanno ricordato poco o niente in aula.
Secondo la Procura militare, dalla fine del 2014 fino a metà del 2017, il capitano nativo di Perugia, con padre marocchino e madre italiana, è stato offeso quasi ogni giorno dal suo sottoposto alla presenza di altri militari, ma senza poter sentire lui stesso le ingiurie, che gli venivano rivolte, nel cortile della caserma Salsa: «Sto’ marocchino di m… gliela farò pagare in un modo o nell’altro. Non è degno di stare nell’Esercito italiano. Ha rubato un posto in Accademia a un italiano vero. Pezzo di m... sto’ meschino», sono soltanto alcune delle frasi che Lo Manto ha rivolto al suo superiore, durante l’alzabandiera mattutino, gli allenamenti e le sedute di addestramento.
Lo Manto era stato rinviato a giudizio dal gup Bonafiglia e il procedimento di primo grado è stato abbastanza lungo. Non dovrebbe essere finita qui.
Si è invece concluso con una sentenza di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il processo a parti invertite, con Bensellam che era stato accusato di violenza, sulla base di un certificato medico, che parlava di «trauma cranico facciale da percosse» per una prognosi di cinque giorni. A parte questo, non risultano motivi personali di astio, al di là delle convinzioni personali di Lo Manto. —
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