Eredità Ricci, parla Guglielmo: «Lui non si fidava delle banche»

Ieri mattina in tribunale si è presentato il medico a processo per circonvenzione di incapace che ha rigettato le accuse: «Diversi gli episodi che destavano sospetti sulla gestione patrimoniale»

BELLUNO. Ha deciso di rilasciare spontanee dichiarazioni, quindi, senza possibilità di essere sottoposto ad ulteriori domande il dottor Maurizio Guglielmo che ieri, dopo tanti rinvii, si è presentato in tribunale insieme con l’anziana mamma.

Ha parlato per oltre un’ora Guglielmo, imputato di circonvenzione di incapace nella vicenda dell’eredità milionaria di Guido Ricci. Nelle sue dichiarazioni, che hanno seguito quelle della madre, il medico ha anticipato la volontà di depositare «migliaia di pagine» a sua difesa, promettendo di parlare «finché le cattive condizioni di salute, pervenutemi in seguito a questo procedimento, mi permetteranno».

Tre i punti su cui si è soffermato: da un lato i rapporti di amicizia di Ricci con la sua famiglia, quelli del defunto con le banche «dove i suoi soldi non crescevano malgrado i tanti affitti che depositava», anzi diminuivano, e «così ci ha chiesto aiuto per spostare i soldi altrove», ed infine il famoso “plan bleu”, quel documento trovato su uno dei computer di casa Guglielmo che, secondo l’accusa era una sorta di vademecum per “raggirare” Ricci e che invece il medico ha sottolineato essere non solo «non opera mia assolutamente», ma piuttosto un documento a difesa degli anziani contro le truffe.

Il medico è partito descrivendo i rapporti di amicizia che da anni legavano la sua famiglia con Ricci che «veniva a pranzo diverse volte a settimana o passava a prendere il caffè o il tè portando sempre o una bottiglia di vino o cioccolatini o caramelle». Riunioni «conviviali in cui non abbiamo mai chiesto dei suoi affari, a parte quando, alla morte del fratello di Ricci, due episodi hanno iniziato a insospettire mio padre, funzionario di polizia». Dopo questo lutto, Guido Ricci, secondo quanto raccontato dal medico, avrebbe raccontato che per la successione la vicina di casa si sarebbe presentata dicendo che servivano ancora 250 mila euro per terminare le operazioni all’Agenzia delle Entrate di Venezia. L’anziano, quindi, si era recato in banca per chiedere i soldi. Ma a quel punto, la famiglia Guglielmo, e in particolare il padre, si sarebbe insospettito e, chiamata l’Agenzia, si sarebbe sentito dire che la pratica era in ordine e non servivano altri pagamenti, per cui quei 250 mila euro erano stati poi nuovamente depositati.

Guglielmo ha poi evidenziato come «i soldi depositati nelle due banche da Ricci non fruttavano nulla, anzi una volta, a fronte di un investimento di 1.141.000 euro, nel giro di 11 mesi l’anziano avrebbe perso il 26% rispetto al capitale investito, pari a oltre 278 mila euro». Per l’imputato, quindi, era il comportamento degli istituti di credito a destare sospetti. «E questo lo dimostrano appunto le perdite subite da Ricci, un uomo di 75 anni, malato gravemente, che stava in piedi a stento e che aveva sottoscritto investimenti in obbligazioni bancarie, ad alto rischio. Non era stato portato a diversificare i suoi investimenti», come sarebbe stato logico pensare. Su questo fronte la difesa, l’avvocato Paolo Patelmo ha chiesto al giudice Scolozzi di avere un’integrazione di prove ascoltando alcuni consulenti bancari, richiedendo alle banche la Mifid, il questionario che fa capire il grado di rischio che può sopportare il cliente, oltre che sottoponendo a perizia psicocalligrafica i testamenti di Ricci che indicava Guglielmo come suo erede, ma l’istanza è stata rigettata in quanto «non necessaria». L’avvocato Patelmo ha inoltre ripresentato la richiesta di ricusazione del giudice Scolozzi alla Corte d’appello di Venezia. Guglielmo, infine, ha dichiarato di non aver mai dettato a Ricci il testamento «gli amici si aiutano senza chiedere regali», e nemmeno di averlo istruito a superare alcuni test psicologici. Si torna in aula il 3 maggio per la discussione.

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