Edi Gei, il volontario trascinato via dal Rusecco
PIEVE DI CADORE. Oggi a ricordare la tragedia del 4 novembre 1966, quando a Nebbiù durante l'alluvione, morì il dicianovenne Edi Gei, sul luogo della disgrazia lungo la riva del torrente Rusecco, c’è solo un piccolo monumento accessibile con un ponticello in legno che scavalca il ruscello, inaugurato pochi anni fa. Per le ultime generazioni di Nebbiù questo luogo è solo una tappa della processione nelle celebrazioni di Ognissanti, pochi conoscono la storia della persona che vi è ricordata. Non è così per chi insieme a Edi ha vissuto quelle giornate, quando non si sapeva che fine avrebbe fatto la parte dell’abitato costruita lungo le sponde del torrente.
Il giorno precedente e nella notte aveva nevicato e poi piovuto a dirotto, tanto da sciogliere in poche ore il metro di neve che si era accumulato in montagna. Il corso del torrente Rusecco sin dalla sera del 3 novembre aveva incominciato a gonfiarsi e al mattino successivo iniziò a portare a valle detriti e piante erosi lungo il percorso. Tra questi anche degli alberi sradicati dalle sue rive, subito dopo l’unione delle acque provenienti dalla Cascata del Pissandro con quelle provenienti dal monte San Dionisio. In poche ore gli alberi e gli arbusti formarono una diga a monte del paese, ma senza bloccare completamente la corsa dell’acqua e dei grossi sassi che scendevano verso il centro abitato erodendo progressivamente le rive.
Il peggio però doveva ancora arrivare perché ad un certo momento la diga si ruppe e l’acqua carica di detriti riempì completamente il corso del torrente allargandolo fino a circa 20 metri, mettendo in pericolo le case costruite sulla riva sinistra all’altezza della casa Da Vià. Per salvare quelle a valle, si rese necessario mettere dei tronchi lungo l’argine per regimare l’alveo e incanalare l’acqua che già aveva esondato e iniziato a scendere lungo la strada interna.
Il torrente scavando le rive aveva portato al centro dell’alveo a 30 metri dalla Casa Da Vià, anche una grossa fetta di prato, come un’isola che si era formata proprio al suo centro. Era già pomeriggio e il pericolo per le case del paese stava aumentando di ora in ora.
È stato in questo punto, poco dopo le 16, che il diciannovenne Edi Gei, uno dei volontari del paese che stavano cercando di fermare l’esondazione e che si trovava sulla sponda destra del corso d’acqua, per poter recuperare un’accetta che era conficcata in un tronco, provò ad appoggiarsi all’isola di erba e terra, ma questa cedette e il ragazzo venne travolto dall’acqua che lo trascinò a valle, senza che i gli altri volontari potessero fare nulla per salvarlo.
Alcuni di loro corsero lungo le rive del torrente, cercando di fermarlo, ma senza risultato. Dopo circa 300 metri, proprio all’altezza del mulino, uno di loro riuscì ad individuarne il corpo ed entrando in acqua rischiando a sua volta la vita, cercò di fermarlo. Poichè, data la violenza dell’acqua, non riusciva a tirare il corpo a riva, si fece passare una corda, con la quale legò una gamba del ragazzo ad un abete che si trovava sulla riva sinistra, dove l’acqua faceva una piccola ansa, con l’intenzione di recuperarlo non appena ci fossero le condizioni per farlo. Purtroppo la portata del torrente aumentò anche durante la notte e alle prime luci dell’alba del 5 novembre, dell’albero e del corpo di Edi non c’era più traccia. Non appena la violenza dell’acqua si calmò, iniziarono le ricerche lungo il corso del Rusecco fino alla foce, ma senza risultato. Gli abitanti di Nebbiù che abitano lungo il Rusecco, ricordano ancora la figura di sua madre Zoe, vestita di nero, che ogni giorno seguiva gli scavi con la speranza che i resti del il figlio venissero trovati. Ricerche che proseguirono per tre mesi, durante i quali non fu possibile trovare nessuna traccia, nonostante il corso del ruscello fosse stato dragato quasi completamente. Due anni dopo, il 4 novembre 1968, a Edi Gei venne conferita la medaglia d’argento al valore civile. Oggi, ai piedi del monumento che lo ricorda, il Rusecco corre tranquillo, incanalato negli argini resistenti, costruiti con pietre e cemento, dopo l’alluvione.
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