Dopo il Piave, ora le centraline insidano torrenti e rii secondari

BELLUNO. I dati raccolti dal Comitato Acqua bene comune mostrano che in provincia di Belluno, a giugno 2012, ammontavano a 146 le richieste di concessione idroelettrica. Di queste, un’ottantina...
Di Martina Reolon

BELLUNO. I dati raccolti dal Comitato Acqua bene comune mostrano che in provincia di Belluno, a giugno 2012, ammontavano a 146 le richieste di concessione idroelettrica. Di queste, un’ottantina potrebbero essere autorizzate e per 20 è già stato dato il via libera. A spiegarlo è Lucia Ruffato del Comitato.

Sul tavolo il problema dell’iper sfruttamento dei fiumi e del territorio bellunese. Un problema affrontato nel convegno organizzato giovedì sera da Acqua bene comune: «L’incontro ha mostrato come in provincia le normative europee sulla gestione delle acque siano disattese», precisa la Ruffato. «L’Europa stabilisce che entro il 2015 si debba arrivare al raggiungimento di un buono stato delle acque, dal punto di vista di qualità, quantità e utilizzo. Una volta fatti degli interventi, la situazione deve essere monitorata in modo da non peggiorare lo stato delle acque. Questo non sta accadendo nel nostro territorio».

E proprio per questo motivo Acqua bene comune ha deciso di dare il via a un ricorso europeo, grazie anche all’appoggio dell’europarlamentare Andrea Zanoni, «il quale ci ha spiegato», sottolinea Guido Mattera, «che ci sono tre vie percorribili: il reclamo, la petizione o l’interrogazione».

Per capire quanto le centraline bellunesi siano difformi dalle normative europee, il Comitato ha commissionato allo “Studio terra” un’analisi , «la quale», commenta la Ruffato, «prendendo in esame una decina di impianti del nostro territorio, ha messo in risalto come nella realtà bellunese non ci sia nessun corso d’acqua classificato come inalterabile. Questo ovviamente espone tutti i fiumi al deterioramento. Si tratta, come ci hanno spiegato, di una responsabilità anche a livello regionale. Infatti nelle procedure autorizzative delle concessioni non si fa mai riferimento alla questione dell’inalterabilità, così come non viene valutato l’impatto cumulativo e i danni creati dalla sovrapposizione di interventi».

Attualmente in provincia di Belluno gli impianti Enel sono circa 35. «Non c’è però un censimento ufficiale», ricorda la Ruffato, «e i numeri dipendono anche dai tipi di classificazione. Comunque a noi risulta che, oltre alle quelle Enel, ci siano cento piccole derivazioni sotto i 3 megawatt, di cui la metà sotto i 50 kilowatt».

Sta di fatto che il 90% del Piave è derivato: «Il corso d’acqua è quasi del tutto captato, e ora si comincia con i suoi affluenti, andando a intaccare il reticolo più piccolo. In un deserto normativo, impianti che non sarebbero convenienti lo diventano solo grazie agli incentivi del settore».

Dalla disamina di Acqua bene comune emerge un discorso critico sul reale rendimento energetico degli impianti. «Chi li costruisce guadagna un montagna di soldi», commenta la Ruffato, «diverso è dire che ne abbia un rientro la comunità. Poi ovviamente dipende dalla capacità contrattuale dei Comuni. E poi bisogna ricordare che la Regione Veneto non ha mai fatto un piano energetico».

«Ora non ci resta che rivolgerci all’Europa», evidenzia Mattera, «visto che a livello locale non siamo molto ascoltati. Difatti siamo rimasti un po’ delusi dalla scarsa partecipazione, tranne qualche eccezione, di amministratori del territorio nel convegno di giovedì. In compenso la sala Bianchi era piena. Tanti cittadini, non solo dalla nostra provincia, ma anche da Treviso e Vicenza, oltre a pescatori, che sono venuti ad ascoltare i relatori: oltre a Zanoni e Ruffato, anche l’esperto Marco Stevanin e Andrea Ceruti, l’avvocato che ci ha fatto vincere in Cassazione sulla questione Valle del Mis».

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