Disabile e cieco, va a morire in Svizzera
Paralizzato fin da ragazzo, con una pensione che non lo fa vivere dignitosamente, Loris Bertocco sceglie il suicidio assistito

FIESSO D’ARTICO. Alle 10,30 l’ultima telefonata con l’amico di una vita, Gianfranco Bettin. Poi l’ingresso nella stanza di una clinica svizzera, dove, accudito da cari amici, ha scelto l’eutanasia.
Loris Bertocco di Fiesso d’Artico se ne è andato ieri mattina all’età di 59 anni. Era nato nel 1958 e da 40 anni era paralizzato a causa di un incidente. Da 15 anni cieco.
L’incidente risale al 1977, quando, diciannovenne, venne investito da una auto mentre in motorino andava a tenere un corso di musica. In 40 anni di disabilità le sue condizioni sono via via peggiorate e Bertocco alla fine ha deciso che non poteva essere quella una vita degna di essere vissuta. E ha scelto l’eutanasia all’estero, in Svizzera.
Lo hanno fatto altri veneziani in questi anni: Vittorio Bisso, Piera Franchini e Gianni Trez. Loris era amico di Bisso, che abitava in Riviera del Brenta. La sua scelta, racconta Gianfranco Bettin, lo «aveva fatto pensare molto: diceva che aveva aperto una strada. Poi Loris ha deciso alla fine di organizzare tutto da solo, nei minimi dettagli».
Bettin ieri mattina è stato tra gli ultimi a parlargli prima della morte, avvenuta dopo la assunzione del liquido che lo ha portato lentamente alla morte.
«Gli ho ricordato che poteva cambiare idea anche all’ultimo momento. Il mio è stato un affettuoso gesto egoista: non volevo perdere un amico ma comprendo la sua decisione».
Proprio a Bettin, amico dai tempi del movimento studentesco dei primi anni Settanta, e a Luana Zanella, presidente dell’Accademia di Belle arti ed esponente dei Verdi, Loris Bertocco ha affidato il compito di rendere pubblico il suo gesto e un memoriale di 11 pagine con cui spiega la sua scelta e chiede alla politica una legge sul fine vita e azioni a tutela dei disabili gravi, come lui.
Agli amici più stretti, Bertocco aveva comunicato la sua decisione. Poteva cambiare idea anche all’ultimo momento. Non lo ha fatto.
Ha cercato di rendere lievi i saluti alla madre Renata, 81 anni, che gli è stata vicina fino all’ultimo; alla sorella Lorella; all’ex moglie Anamaria e all’ultima assistente e amica, Mirella.
Altri amici li ha incontrati in due cene, sabato e domenica. «Ha detto che partiva per un viaggio», racconta Bettin. «Si è sforzato di tenere tutto leggero ma dalle sue parole emergeva tutta la fatica, il tribolare di questi anni. Gli era diventato faticoso continuare a vivere in queste condizioni. Con due piccole pensioni non si poteva permettere due assistenti e ormai temeva di perdere quel poco di autonomia che gli consentiva di organizzarsi e aveva paura di ritrovarsi come un vegetale, con la legge italiana che decide per lui», racconta l’amico sociologo.
La legge sul fine vita e sul testamento biologico in Italia ancora non c’è, impantanata al Senato.
Luana Zanella conferma: «Ci siamo parlati martedì. Il nostro è stato un dialogo affettuoso ma anche triste. Abbiamo fatto un pezzo di vita assieme. Loris finché ha potuto ha tenuto duro ma non voleva più essere un peso. Aveva bisogno dell’aiuto di due assistenti, capaci, che lo aiutassero a mantenere i rapporti con il suo mondo. Era questa la sua necessità», racconta.
Bertocco viene ricordato come «un uomo generoso e tenace, impegnato su molti fronti». Animatore culturale fin da ragazzo, per decenni aveva condotto trasmissioni musicali e politico-culturali nelle radio libere venete. Era stato tra i fondatori dei Verdi italiani. In prima fila per la pace e tante battaglie ambientaliste. Lottava per i diritti dei disabili con la rete di “Vita Indipendente”. E sosteneva la necessità di una legge sul fine vita.
«Il memoriale che ha lasciato e che ci chiede di diffondere ricostruisce la sua vita, il suo amore per la vita, la sua tribolazione, la lotta, la protesta per l’insufficiente assistenza che le persone come lui ricevono dalle istituzioni preposte. Parlava da tempo di questa sua scelta finale. Lo faceva in termini ipotetici. Anche preparandosi a questo viaggio in Svizzera non l’aveva descritto come il suo ultimo, ma come una sorta di sopralluogo, preparatorio a un’eventuale scelta estrema», ricordano Bettin e Zanella, che dicono di aver fatto «quello che ci ha chiesto di fare, con tutto il dolore e l’amicizia».
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