Diede dei terroni a due poliziotti
CORTINA. «Terroni, andatevene nel meridione». È uno degli “inviti” a due agenti di polizia del Commissariato di Cortina, che hanno costretto Andrea Dimai a patteggiare una condanna di sei mesi di reclusione per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale e rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale. L’avvocato Ghezze ha concordato la pena con il pubblico ministero Tricoli e il giudice Coniglio l’ha applicata. È successo tutto il 25 ottobre 2012, in Corso Italia, di fronte a diversi testimoni. Dimai era stato segnalato perché aveva bevuto ed era diventato molesto nei confronti degli altri avventori di un locale pubblico del pieno centro di Cortina. Una volta arrivati sul posto, i poliziotti si sono visti affrontare a muso duro dall’attuale imputato e sentiti investire da una sequenza di male parole, quando si sono permessi di chiedergli un documento, semplicemente per provvedere all’identificazione.
Avvertenza: la parola “nulla” qui di seguito sostituisce una parolaccia usata dal cortinese. Dimai è partito all’attacco: «Non ti dico niente, non ti do nulla, perché ti devo dare un documento, chi sei tu?». All’assistente capo e all’assistente è bastato insistere un po’, per ricevere un’altra scarica di cortesie: «Io non ti dico niente e, se vuoi sapere chi sono, vieni a casa mia ché ho il documento. Non avete nulla da fare, andate da un’altra parte. Andate in Sicilia e Calabria».
Nel momento in cui i poliziotti gli hanno detto che l’avrebbero portato in Commissariato, Dimai è sbottato di nuovo, aggravando la propria situazione, anche se qualche indicazione l’ha data: «Siete dei deficienti. Io con voi non vengo e vado a casa a piedi. Mi chiamo Andrea Dimai e basta. Terroni, andatevene nel Meridione».
Nessun documento è mai stato esibito, in compenso c’è mancato poco che uno dei due agenti venisse colpito con un pugno.
Tutto quello che si è riusciti a spuntare è il nome e cognome: a quel punto è partita la denuncia per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, oltre che rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale.
A distanza di più di quattro anni dai fatti, chissà quante volte Dimai può aver ripensato a quella giornata così sopra le righe. Ieri mattina il suo difensore ha chiesto il patteggiamento al pubblico ministero e l’ha ottenuto dal giudice.
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