Dieci mesi alla brasiliana che diffamò l’alpino

BELLUNO. Diffamò l’alpino del Settimo. La brasiliana Ana Cristina Pasquinelli Bortolozo è stata condannata soltanto per la diffamazione del militare bellunese: 10 mesi di reclusione, più 8 mila euro di risarcimento danni. Ma ci sono state anche due assoluzioni pronunciate dal giudice Scolozzi: il fatto non costituisce reato per la calunnia e non sussiste per lo stalking. Nella sua arringa, il pm Rossi aveva ritenuto dimostrata la penale responsabilità dell’imputata per tutti i reati contestati, chiedendo una condanna di conseguenza, nell’udienza dello scorso 17 giugno.
Secondo la procura, la donna aveva diffuso in rete fotografie e video del militare in atteggiamenti intimi, anche creando profili falsi sui social Facebook e Twitter. Nei file, l’uomo è parzialmente o del tutto nudo. Qualcuno deve avergliele pur date queste foto. Ad ogni modo, si era sostituita all’ufficiale, offendendone il decoro e la reputazione e commettendo così il reato di sostituzione di persona. Anche spedendo delle mail a indirizzi dell’Esercito, in cui lo descriveva come psicopatico, bugiardo, pedofilo frequentatore di siti pedopornografici e dedito all’adescamento di minorenni. Questa era, in sostanza, la diffamazione.
La calunnia stava nell’accusa, pur sapendo che era innocente, di reati di pedopornografia, corruzione di minorenni e il loro adescamento. Manca solo il reato di stalking, che si configurava in atti persecutori che consistevano in minacce di morte, ma anche in scritte offensive o minacciose, che causavano nell’uomo uno stato di ansia e angoscia tale da cambiare la propria quotidianità. Sia la diffamazione che lo stalking erano aggravati dal fatto di essere stati commessi in rete, tra l’aprile e la fine di settembre di tre anni fa.
Sicuramente i due si erano conosciuti su Facebook e avevano intrecciato un’amicizia virtuale, ma in seguito devono anche essersi visti di persona. La donna avrebbe voluto qualcosa di più di una semplice amicizia, cosa che il militare non condivideva, anche per una sua più o meno imminente partenza per una missione di pace. Lei non si sarebbe arresa e avrebbe messo in atto tutta una serie di operazioni, che l’hanno portata in tribunale.
L’uomo, che fa un lavoro molto delicato, è stato sottoposto a un’indagine, ma niente è emerso a suo carico, anzi è stato gratificato con l’avanzamento di grado. Ieri mattina ha accolto la sentenza come una liberazione.
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