Da 54 anni in prima linea per aiutare il prossimo

La storia della farmacia Zampol D’Ortia ha origine nel 1965: «La gente ora cerca le cure su Internet, ma noi restiamo ancorati alla tradizione»

LENTIAI

Di omeopatia, erboristeria e prodotti naturali ha fatto la sua passione. Di Lentiai la sua casa. Della vendita dei medicinali, invece, la sua vita, al servizio della gente. A 56 anni, Adriano Zampol D’Ortia, titolare della farmacia di via Piave 48, ci racconta la sua esperienza dietro il bancone, riavvolgendo la clessidra del tempo agli episodi che hanno contribuito a farlo crescere e a insegnarli questo mestiere. L’attività di Adriano è il proseguimento di un cammino. «Di un sogno direi. Quello coltivato da papà Valerio, che mi ha insegnato a vivere il mestiere del farmacista con passione e nel contempo a fare del bene per gli altri senza mai stancarmi, trasmettendomi valori umani ed etici che mi hanno consentito di diventare ciò che sono. Quella della nostra attività è, dunque, una storia tramandata di padre in figlio, che trae le sue origini nel 1965».

Ci racconti gli inizi...

«Avevo un paio d’anni quando i miei genitori decisero di trasferirsi a Lentiai. Abitavamo dapprima a Mel, dove ero il terzo di quattro fratelli. Mio papà, originario del Comelico, era direttore della farmacia di Mel, poi di Trichiana, passata negli anni al dottor Zerbio; da lì si era poi spostato a Villa di Villa e infine a Lentiai, per poi rimanervi per i cinquant’anni successivi».

A Lentiai lei è cresciuto, trovando stabilità.

«Sì. E ho iniziato a comprendere che questo paese sarebbe divenuto la mia casa, che infatti non ho mai abbandonato. È curioso come da bambino ti ricordi i particolari di ciò che ti ruota attorno: i rumori, i colori, i profumi. Della mia infanzia ricordo che davanti alla farmacia, che nel frattempo si era spostata nella sua attuale sede, c’era solo campagna. Lo stabile si trovava isolato da tutto, tanto che il sindaco dell’epoca aveva inizialmente negato il trasferimento, perché era troppo lontano dal centro. Nel frattempo affiancavo mio padre nel lavoro come meglio potevo, con piccole mansioni e terminata la terza media continuai a studiare. Mi diplomai allo Scientifico di Feltre, per poi iscrivermi alla facoltà di farmacia all’Università di Ferrara. Un paradosso perché, essendo asmatico, ero l’unico dei fratelli che, si pensava, non avrebbe dovuto fare farmacia. Quella che poteva apparire come un grande scoglio difficile da superare è divenuto il mio punto di forza, che mi ha permesso di credere ancora più in ciò che facevo: nella vita, infatti, la determinazione è fondamentale, abbinata alla fortuna. Nell’ottobre del 1987 mi laureai, per poi sostenere l’esame di stato un paio di mesi dopo. L’anno successivo mi sposai con chi è ora il mio sostegno in tutto. Ma in ogni storia c’è sempre un lato positivo e uno negativo».

Quali sono stati per lei?

«Quello positivo è l’impagabile conforto che ti dà la gente quando sai di averla aiutata a curarsi. In questo mestiere conosci tanti pazienti, con le loro storie e i problemi: per questo è doveroso essere sempre preparati per offrire al prossimo il meglio della propria competenza, tenendo sempre presente che davanti a te ci sono persone in carne e ossa, con le proprie emozioni. Persone che devi saper gestire. Un altro è stato nel 2000, quando mio papà mi lasciò la guida della farmacia. Sentivo la fiducia della mia famiglia addosso, però, quando sei alle prime armi e vedi i clienti di una vita che un po’ alla volta vengono a mancare, qualcosa se ne ve anche in te. Per me all’inizio è stata dura. Anche perché con queste tipo di persone viene a crearsi una sorta di legame empatico. Infine, il lato negativo: nel 2010, a Pasquetta, il mio maestro di vita se n’è andato. Si sparse la voce in paese e, nonostante fossi aperto, in negozio non si presentò nessuno: c’era un silenzio surreale ovunque. Capii in quel momento che la gente non voleva turbare quel silenzio in segno di solidarietà».

Il mestiere del farmacista è cambiato nel corso degli anni?

«Si, tantissimo».

In che modo?

«Ho iniziato a lavorare in un regime di massima tutela, visto che in Italia l’attività del farmacista ha una duplice veste: commerciale e di convenzione con lo Stato: ricopri la veste di pubblico ufficiale quando lavori. Ora, invece, siamo passati a una liberalizzazione del mercato, senza contare il confronto con le Usl; la gente come punto di riferimento non ha più il medico di medicina generale, ma google. I ritmi, inoltre, sono sempre più pressanti, motivati anche dalle necessità delle persone che, con l’attuale crisi economica, sono diventate impellenti. È cambiato tutto rispetto a una volta, ma sta cambiando tuttora. Nonostante le difficoltà, noi farmacisti dobbiamo cercare di rimanere ancorati alla tradizione, nella logica dell’etica che tale mestiere ci impone e che personalmente ho appreso fin da giovane». –


 

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