Casa del Sole, la ricerca di Salomon

BELLUNO
Per tovaglia un tricolore, un affresco sulla parete di fondo: due mani che si stringono sotto una data: 1898, un manifesto con la scritta “Solidarietà”, queste le immagini che hanno accolto il pubblico, sabato pomeriggio, nella sede della Società Operaia del Mutuo Soccorso a Lentiai. Promossa da SPI, Bellunodonna, Unisono e Soms, c’è stata la presentazione del libro “Da casa Manarin alla Casa del Sole”, frutto di una minuziosa ricerca che Paola Salomon ha fatto intorno alle vicende dell’attuale casa di riposo di Ponte nelle Alpi dal 1864 al 1954. Esperta ricercatrice di storia del Territorio, ha pubblicato esperienze ed inediti legati alla guerra, al dopoguerra, alla resistenza, al lavoro, a quello femminile, all’emigrazione, all’economia.
Per questa ultima ricerca, incomincia dal contratto di una presa d’acqua, firmato da Giuseppe Manarin di Longarone che verrà ad abitare l’allora casa colonica, nella cui fontana è incisa proprio la data “1864”. Sul finire dell’Ottocento l’edificio sarà ampliato e poi venduto all’asta a Giuseppe De Lago, presidente della Camera di Commercio, e poi proprietario delle fornaci di Sois. Ai primi del ‘900 l’edificio e i suoi 60 ettari vengono acquistati dalla Provincia per far ritornare e ospitare i “dementi poveri”, che si trovano nelle varie strutture manicomiali del Veneto. Durante il fascismo diventerà colonia estiva e poi dispensario tubercolare per adulti e poi per bambini. Vi lavorerà la direttrice scolastica Pierina Boranga che affiancherà all’opera di prevenzione la scuola che prende il nome di “Casa del Sole”.
Tra un intervento e l’altro, brani eseguiti da William Nisi al sax tenore, e alla fine ha preso la parola Anna Cubatoli, presidente dell’Associazione BellunoDonna cui è andato il ricavato dalla vendita del libro. Incisiva e “senza far sconti”, la Cubatoli ha esposto una serie di concetti e numeri che dimostrano come la violenza sulle donne, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità “un crimine contro l’umanità”, sia un fenomeno diffuso: «Una donna su cinque subisce o ha subito violenza nell’arco della propria vita- ha affermato - e il nostro Territorio non fa eccezione; il teatro è spesso l’ambiente familiare o comunque conosciuto e frequentato.» Il primo e unico centro antiviolenza del Bellunese, funziona dal 2004; è collegato da una linea telefonica, è affiancato da due avvocate, gestisce un appartamento dove le donne completano il percorso di recupero, fino a poco tempo fa ne gestiva uno a indirizzo segreto. I bisogni sono tanti: le donne che ricorrono al centro spesso perdono il lavoro, alcune arrivano senza nemmeno gli effetti personali. Dal 2004 ad oggi le donne che hanno chiesto aiuto sono 378 (a volte con i propri bambini), di queste solo il 10% sono straniere, per la maggioranza sposate ad italiani. Ed ha concluso: «Vorremmo che il nostro ruolo ci venisse riconosciuto teoricamente e praticamente anche dalle istituzioni per garantirci almeno la sopravvivenza».
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