Bob, l’esperienza di Cesana: «Fino a 700 mila euro per una gara»
Il sindaco del Comune piemontese Daniele Mazzoleni avverte Cortina: «Tante promesse ma poi siamo stati lasciati soli»

A Cortina sta prendendo forma la nuova pista da bob “Eugenio Monti”. I lavori, in linea con il cronoprogramma come più volte ribadito da Simico, fanno ben sperare sulla realizzazione finale dell’impianto. Il grande merito - se tutto andrà bene - va dato alla ditta Pizzarotti, che senza fare polemiche lavora da mesi senza sosta alla costruzione della struttura. Ma se Cortina potrà vantare una pista straordinaria dal punto di vista ingegneristico ed architettonico durante i Giochi, potrà allo stesso modo esultare negli anni che seguiranno le Olimpiadi?
In Italia c’è chi l’esperienza del bob l’ha già provata: è il Comune di Cesana Torinese, dove fu costruita la pista da bob protagonista dei Giochi 2006. L’attuale sindaco, Daniele Mazzoleni, affronta senza peli sulla lingua il tema: «Sulla pista di Cortina non posso che sperare che abbia un percorso diverso rispetto a quella di Cesana», afferma Daniele Mazzoleni. «Perché la nostra ha avuto un percorso drammatico. L’impianto era economicamente insostenibile, sostanzialmente un disastro per il territorio. Quindi posso dire che la nostra esperienza è completamente negativa. Olimpiadi a parte, a noi non ha portato nulla al territorio».
Perché non ha funzionato?
«Perché ci sono poche decine di iscritti alla Federazione bob, skeleton e slittino in Italia e circa 500 in tutta Europa. Si tratta di impianti che non hanno un bacino di utenza tale da giustificare i costi che comportava ad esempio la pista di Cesana. Poi, io non so se la pista di Cortina avrà delle soluzioni tecniche che possano in qualche modo bypassare i problemi che abbiamo avuto noi con dei costi di gestione spropositati e con un’utenza minima».
Però a Cortina, dove esiste una tradizione bobbistica , sostengono che senza un impianto non si crea un bacino di atleti per rendere sostenibile il bob.
«Il bob ha un impianto che costa come uno stadio di calcio e ha un numero di praticanti che non giustifica la spesa. Quello che dicono a Cortina non mi trova d’accordo: passare da 5 mila a 6 mila atleti è un conto, passare da 50 atleti ad un numero sufficiente per gestire quei flussi di capitali la vedo molto difficile. Ripeto, non stiamo parlando di uno sport come il calcio dove mi compro delle scarpette e vado a giocare in un campo. Stiamo parlando di uno sport dove la gente deve andare su un bob, che costa molto, a cento all’ora. E soprattutto, con quali prospettive di carriera? Forse a Cortina conviene fare il maestro di sci».
Quanto costava tenere aperta la pista da bob?
«Se si apriva per fare qualche evento, a bilancio pesava per 1,5 milioni di euro. E stiamo parlando degli anni 2000. Una singola gara, compresa di tutto (logistica, ospitalità e tutti i costi dell’impianto) veniva a costare fino a 700 mila euro con le tecnologie dell’epoca. Si teneva aperta nei mesi invernali, ma le gare erano di circa 15 giorni. Non voglio parlare di aspetti tecnici, potrei sbagliarmi, ma la pista una volta ghiacciata è meglio tenerla accesa. Non è possibile fare il ghiaccio a richiesta. Ci sono poi dei tempi di mantenimento per arrivare pronti all’evento. Non è una piccola pista di pattinaggio che in poco viene preparata, ma di un altro tipo di impianto».
Come può restare in piedi un impianto del genere?
«Per me resta in piedi se dietro c’è lo Stato, la Regione o il Coni che lo prendono in carico, che poi era quello che avevano promesso a noi. Perché quando hanno costruito la pista qui, ci hanno detto che Cesana sarebbe diventata la “Coverciano delle nevi”, lo stesso discorso che stanno facendo ora a Cortina. Io, sinceramente, guardo con perplessità certe uscite perché usano le stesse parole. I discorsi erano “vi riempiremo di squadre che verranno lì a fare allenamenti e gare”. Il risultato? Abbiamo i trampolini di Pragelato e il bob da smantellare».
Quale era il guadagno economico prodotto dalla pista?
«Zero. A dir la verità, c’erano delle entrate ma non significative rispetto al milione e mezzo di costi. Stiamo parlando di percentuali irrisorie».
Come avete fatto a tenere aperta la pista?
«Tutti gli impianti erano gestiti – e lo sono ancora - da Fondazione 20 marzo. In Fondazione erano stati versati capitali olimpici che hanno permesso di tenere in vita la pista da bob. Una volta finiti, abbiamo dovuto chiudere tutto perché era insostenibile. Noi siamo andati avanti finché abbiamo avuto il sostegno di Fondazione, quando è venuto a mancare un Comune come il mio non poteva permettersi di mettere a bilancio un milione e mezzo per gestire l’impianto».
In Veneto, la Regione ha stanziato un milione di euro per tre anni per la gestione dello Sliding Centre.
«E il quarto anno? Cosa dice il mio collega di Cortina, non penso sia contento».
In realtà si
«Ah... Io guarderei in Francia. I francesi, per i Giochi 2030, vengono a fare tutta la parte dello Short Track a Torino, per non costruire la struttura, mentre a Milano ne faranno una nuova. È una gestione veramente strana».
A livello di visibilità, i Giochi cosa hanno portato?
«Tolte le Olimpiadi, le poche gare organizzate dopo non hanno fatto lo share di Sanremo. Con una visibilità così bassa, nessuno sponsorizza un impianto. Se mette il mio nome su uno stadio di calcio o anche solo di pallavolo è un conto, ma mettere il mio nome su un impianto che non vede nessuno è diverso».
E il bob a rotelle estivo?
«Mi viene da ridere. Non funzionava, anche perché quelle piste sono fatte per determinate velocità. Non è un parco giochi, è una pista olimpica, qualcosa di veramente complesso. Non si può andare dentro con i gommoni come ho letto e sentito dire più volte»
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