Burocrazia, clima, costi: nel Bellunese un allevamento su due rischia la cancellazione
L’indagine dell’Osservatorio provinciale fa suonare il campanello d’allarme. Il 35% dei conduttori d’impresa è sicuro: «Quando smetto, chiudo la stalla»

È davvero a rischio l’agricoltura bellunese, la zootecnia in particolare, ancorché oggi sia la più reattiva tra quelle provinciali del Veneto. Se è vero, infatti, che le imprese negli ultimi 30 anni sono diminuite, è anche vero, però, che tante di quelle rimaste si sono strutturate. E hanno aumentato l’occupazione, specie quella giovanile.
E delle donne in particolare. Però c’è l’altra faccia della medaglia: che preoccupa non poco. Il 35% dei conduttori d’impresa dice che chiuderà l’azienda una volta che deciderà di non gestirla più personalmente. Quindi più di un terzo delle stalle e degli allevamenti – perché è di questi che in particolare trattiamo – sono destinati alla cancellazione.
Lo ha accertato, attraverso una specifica indagine, l’Osservatorio agricolo provinciale a cura dell’Ente Bilaterale Agricolo (composto da tutte le organizzazioni del settore) presentato venerdì 23 maggio a Lattebusche di Busche. Si dirà: resta un 65% di realtà che va avanti. Ma il 19% dei gestori rivela che «ancora non ho deciso che cosa farò». È vero, la percentuale più alta anticipa che cederà la ditta a un parente stretto, quindi la sopravvivenza è assicurata.
«È evidente l’incertezza e forse la preoccupazione per la continuità di questo settore produttivo», annotano Francesco Peron e Stefano Dal Pra Caputo, che hanno curato l’indagine. «Alcuni dati segnalano la grande difficoltà che già oggi si ha nel mantenere l’azienda in attività. E se il 5% degli agricoltori prevede di vendere l’impresa a una terza persona, mentre un altro 3,8% intende cederla a una persona terza che non conosce personalmente, ebbene questo panorama evidenzia le difficoltà nel ricambio generazionale e la sfida di trovare continuità nella gestione delle aziende agricole in provincia».
La situazione è tanto più grave perché l’andamento delle imprese agricole in provincia, dal 2000 al 2022, mette in luce un calo significativo: entro il 2010 si è passati da 2.478 a 1.962; dopo il 2010 il numero si è stabilizzato fino al 2022 con 1.966 realtà. «Questo indica una contrazione iniziale nel settore», ha detto Leron, «seguito da una fase di stabilizzazione». Dal 2010 si nota, tra l’altro, una riduzione della percentuale di aziende individuali, che passano dal 91,6% del 2000 all’81,9% del 2022, segnando una maggiore strutturazione. Aumentano, invece, le società di persone e società di capitale.
Ma quali sono le problematiche che oggi vengono segnalate dagli agricoltori bellunesi? «Le principali difficoltà», risponde Peron, «riguardano i costi di produzione, l’eccessiva burocrazia e le condizioni climatiche sempre più imprevedibili. Queste sfide non solo impattano sulla gestione quotidiana delle aziende, ma influiscono anche sulla sostenibilità a lungo termine del settore, che appare vincolato a una struttura di piccole dimensioni e a conduzione familiare».
L’instabilità dei prezzi di mercato è stata riconosciuta come un ulteriore ostacolo alla redditività del settore. Ogni anno più pesante, come si è detto.
Al convegno hanno partecipato, oltre ai dirigenti Ebab e ai ricercatori, il presidente della Provincia Roberto Padrin, Renato Bastianin (direttore di Confagricoltura), Andrea Meneghel della Fai Cisl, Antonio Bortoli, direttore di Lattebusche, una dirigente dell’Istituto Della Lucia, Gianfranco Albertin, direttore dello Spisal.
Ebbene, proprio Albertin ha messo in guardia dagli infortuni sul lavoro e dalle malattie professionali, richiamando la necessità di una formazione continua.
«Un dato rilevante emerso dall’indagine riguarda», ha confermato Peron, «l’aspetto della sicurezza sul lavoro: sebbene la maggior parte degli agricoltori percepisca la propria azienda come un ambiente sicuro, permane la consapevolezza dei rischi specifici legati all’uso di macchinari agricoli e alla gestione della fauna selvatica, i quali continuano a rappresentare una fonte di preoccupazione».
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