Baby sitter, solo Ponte ha l’albo «Una professione da inquadrare»

“Progetto Uomo” offre corsi di formazione: «In giro troppi irregolari senza preparazione specifica»

BELLUNO

Didattica a distanza, smart working, cassa integrazione o nel caso peggiore dei casi licenziamento, malattia, isolamento. Da un anno a questa parte migliaia di famiglie bellunesi devono districarsi ogni giorno in questo labirinto intricatissimo fatto di dispositivi da condividere, connessione internet da non intasare, stanze della casa da occupare, turni di lavoro da incastrare e figli da crescere e amare. E in tutto questo non mancano le restrizioni agli spostamenti, che rendono difficile anche per i parenti correre in soccorso a genitori a rischio implosione.

Ecco perché nelle ultime settimane si è fatta risentire anche tra le amministrazioni locali la necessità di dare ai nuclei più in difficoltà non soltanto aiuti economici, ma anche servizi più pratici, come l’istituzione – e la pubblicizzazione – di un albo dei baby sitter. Stando a quel che si è potuto apprendere, Ponte nelle Alpi è l’unico Comune bellunese che ad oggi ne è dotato, peraltro dal lontano 2005. Alla lista delle baby sitter (solo due uomini su 72 iscritti), in fase di aggiornamento per la migrazione del sito istituzionale su un’altra piattaforma, si aggiunge anche quella delle badanti.

Va precisato che il ruolo del Comune, oltre che aggiornare l’elenco, è organizzare i corsi e offrire una formazione trasversale. Tutto quel che attiene all’instaurazione di un rapporto di lavoro è materia di contrattazione tra le parti. Ponte ha erogato finora sei corsi di formazione, di cui l’ultimo online tra maggio e giugno 2020, che ha permesso a una quarantina di persone, previo il superamento di un test finale, di ottenere il certificato attestante le nuove competenze.

C’è però un’anomalia, ben evidenziata da Fiorella Vettoretto che è la manager della formazione per la fondazione bellunese Progetto Uomo: «Il ruolo di baby sitter non è riconosciuto né a livello regionale, né a livello nazionale». Questo scoperchia non tanto un vuoto normativo, ma il solito vaso di Pandora, visto che «è un lavoro che viene ancora erogato in maniera irregolare e a cui le famiglie ricorrono spesso senza pretendere nessuna preparazione specifica, se non qualche esperienza pregressa», con tutti i rischi del caso. «Questo non è accettabile, anche perché, contrariamente a quel che si pensa o percepisce, è un lavoro di altissima responsabilità sanitaria ed educativa e non sempre zii o nonni sono in grado di rispondervi».

Progetto Uomo ha organizzato 11 corsi di formazione in tutto il Veneto, provincia di Belluno compresa, ma è ferma dal 2018, anche «per non saturare il mercato con troppe figure specifiche». A dire il vero ce n’era uno in programma anche l’anno scorso, che però non è stato fatto sia per non sovrapporsi con i due di Ponte, sia perché la pandemia avrebbe impedito ai frequentanti di svolgere il tirocinio formativo in qualche struttura, passaggio fondamentale per ottenere l’attestato di fine percorso.

Anche la Fondazione ha un suo albo interno, che però andrebbe aggiornato visto che tante donne hanno ritirato la loro disponibilità nell’ultimo anno, «sarà anche per via della perdita del lavoro nella categoria e della conseguenze possibilità di gestirsi la famiglia in autonomia».

Presto si aggiungerà anche l’albo del Comune di Belluno, che sta lavorando per istituirne uno proprio: «Questo bisogno era emerso già lo scorso anno durante il lockdown», ricorda la consigliera Nadia Sala, incaricata di seguire l’istituzione del nuovo servizio, «stiamo valutando con la giunta che tipo di strumenti attivare, anche perché abbiamo risorse interne spendibili nei corsi di formazione complementari poi all’istituzione dell’albo».

Intanto impazzano le richieste su “gruppo baby sitter bellunesi” e la creazione di nuovi profili in portali come Sitterlandia o Toptata. Potrebbe essere questa l’occasione buona per far confluire i dati in una lista provinciale. —



Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi