Alla Camera contro il mini idroelettrico «Il decreto incentivi resti invariato»

Le immagini della Valle del Mis appaiono sul maxi schermo della sala stampa della Camera, mentre Elisa Cozzarini illustra i dati raccolti nel suo libro,“Radici Liquide”, nel quale racconta le tante battaglie combattute dalle genti di montagna contro le centraline idroelettriche. «Che di mini hanno ben poco», sottolinea la giornalista e scrittrice mostrando le foto dell’impatto anche paesaggistico, oltre che ambientale, di molti impianti. Il libro di Cozzarini è stato presentato ieri durante una conferenza stampa a Montecitorio, alla presenza della bellunese Lucia Ruffato, presidente di Free Rivers Italia e Vanda Bonardo di Legambiente, invitate dal deputato del Movimento 5 Stelle Federico D’Incà che ha introdotto l’incontro.
D’incà ha ricostruito la storia del mini idroelettrico, cioè degli impianti che restano sotto il megawatt di potenza e che sono ormai 3.074 in tutta Italia, partendo dalla normativa del 2009: «Una buona idea si è trasformata in una speculazione per i territori di montagna». I primi a rendersene conto sono stati gli abitanti delle valli, che hanno visto i torrenti prosciugati e sfigurati delle centraline. I comitati sono cresciuti, si sono organizzati e hanno interpellato l’Ue nell’ambito della Direttiva quadro acque. L’Europa ha ascoltato le loro voci e nel 2014 ha aperto procedura di pre infrazione contro l’Italia (Pilot).
Nel 2017 c’è stata una prima risposta, con un decreto direttoriale del ministero dell’Ambiente che ha fornito alcune linee guida per rispettare la direttiva ambiente dell’Ue: «Ma la debolezza di quel decreto non ha fermato la corsa all’idroelettrico», chiarisce D’Incà, che a fine 2018 è stato tra gli autori del Fer 1, cioè il “Decreto incentivi” che elimina gli incentivi agli impianti costruiti lungo corsi d’acqua naturali. «Bisogna dirlo, quel testo è stato scritto in contrapposizione con gli alleati di governo e in particolare la sottosegretario Gava e il senatore Arrigoni», rincara D’Incà.
A questo punto l’Europa ci ha messo del suo. Mentre la Commissione ambiente Ue rimproverava all’Italia il mancato rispetto delle direttive Habitat e Acque, la Commissione concorrenza Ue ha chiesto chiarimenti sul Fer 1, stimolata dall’opposizione delle lobby dell’idroelettrico al decreto incentivi. D’Incà, Ruffato e Bonardo la settimana scorsa sono andati a parlare alla Commissione ambiente proprio per chiarire e chiedere che le due Commissioni si confrontino.
«Ci sono altri 550 progetti di impianti in ballo», sottolinea il deputato, «vogliamo che il decreto incentivi sia rilasciato tale e quale al testo uscito dal Mise».
Cozzarini ha ricostruito le sue interviste con gli abitanti delle valli dove si è scatenata la predazione delle acque: «Mettendo insieme tutte queste centraline, siamo di fronte ad una grande opera che di rinnovabile ha ben poco», insiste la scrittrice, che usa i numeri per dimostrare quanto il mini idroelettrico sia ininfluente dal punto di vista della produzione energetica, oltre che dannoso per l’ambiente. I dati sono del 2017 a livello nazionale: 3.074 impianti sotto il megawatt, 886 fino a 10 mw e 308 oltre. I piccoli impianti producono lo 0,8% dell’energia consumata in Italia, mentre nel complesso l’idroelettrico rappresenta il 35% dell’energia da fonte rinnovabile.
«Aggiungendo i 550 impianti in attesa di autorizzazione, le cose non cambierebbero, perché l’idroelettrico negli ultimi anni ha ridotto notevolmente la produzione a causa dei cambiamenti climatici che hanno ridotto e stravolto le precipitazioni». I grafici mostrano chiaramente questo andamento, con una produzione che cala nonostante l’aumento degli impianti. La scrittrice ha ricordato anche che molte centraline sono state distrutte da Vaia.
«Perché investire soldi pubblici in opere che non danno energia e devastano l’ambiente», chiede Cozzarini, ripresa da Legambiente: «Il contributo energetico del mini idroelettrico è irrisorio. I soldi destinati agli incentivi potrebbero essere investiti più utilmente per migliorare l’efficienza dei grandi impianti che invece danno un contributo energetico importante al Paese».
Legambiente e Free Rivers si sono uniti alla richiesta di D’Incà: «Il Fer 1 va accolto così com’è, è fondamentale che rimanga tale e quale, anche perché altrimenti rischiamo nuove procedure di infrazione». —
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