Aborti, troppe difficoltà nel Bellunese: due ginecologi su tre sono obiettori
L’interruzione volontaria di gravidanza si può fare solo a Feltre. Al San Martino tutti i medici si rifiutano di svolgere l’attività

Sono state 138 nel 2024 le interruzioni volontarie di gravidanza in provincia di Belluno, tutte eseguite nell’ospedale di Feltre. E questo perché al San Martino di Belluno i sette ginecologi attivi sono tutti obiettori.
I dati sono presenti sul portale della Regione Veneto «l’unica regione italiana a fornire sul proprio sito istituzionale numeri aggiornati sulle interruzioni volontarie di gravidanza. Spazio anche ai numeri sull’obiezione di coscienza, suddivisi per singola struttura ospedaliera», evidenzia Gianluca Ferrario, coordinatore medico di Medici del mondo.
La rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute ha presentato alla Camera, nei giorni scorsi, per il terzo anno consecutivo, un report proprio sull’applicazione della legge 194/1978 dal titolo “Aborto senza numeri - L’assenza di dati come politica di deterrenza e causa di disuguaglianza”. Una presentazione effettuata a pochi giorni dalla Giornata internazionale per l’aborto sicuro che si celebrerà il 28 settembre.
I numeri in provincia
Se nel 2015 gli aborti in provincia erano stati 96 all’ospedale di Belluno e 120 a quello di Feltre, nel 2024 sono stati 138.
E tutti, appunto, eseguiti al Santa Maria del Prato che, dal 2023, è l’unica struttura nell’Ulss 1 Dolomiti dove è possibile eseguire le interruzioni di gravidanza. Qui, infatti, solo cinque dei dieci ginecologi sono obiettori di coscienza, mentre al San Martino lo sono tutti e sette. In poche parole, due medici bellunesi su tre sono obiettori.
«L’obiezione di coscienza tra i medici», spiega Ferrario, «è uno dei grandi problemi legati alla legge 194. Anche se le aziende sanitarie precisano che il servizio – rientra tra i livelli essenziali di assistenza ed è un diritto – è garantito, di fatto si introduce in elemento di disturbo, un ostacolo ulteriore per le donne che hanno deciso di abortire.
L’Oms su questo punto», evidenzia ancora il coordinatore di Medici del mondo, «chiarisce che, se un’azienda sanitaria non fosse in grado di assicurare l’accesso a questo diritto, l’obiezione sarebbe indifendibile. Inoltre, concentrare solo in una struttura questa attività sanitaria, rende inevitabilmente più difficile l’accesso per le donne soprattutto in un territorio complicato come quello montano che paga anche le distanze e i disagi ben conosciuti».
Per Ferrario «molto spesso le donne subiscono delle pressioni psicologiche dal personale medico perché rivedano le loro scelte e anche questi atteggiamenti – insieme all’alta percentuale di obiezione e alla concentrazione all’interno di una sola struttura provinciale della possibilità di ricevere queste prestazioni – di fatto porta a una difficile applicazione della legge sull’aborto».
L’identikit
Il 68% delle donne che decide di interrompere la gravidanza è nubile, il 26% è coniugata; il 54% ha un diploma di scuola superiore mentre il 20% è laureata; il 74% ha un lavoro, l’8% studia e il 4% è casalinga; l’81% ha la cittadinanza italiana, mentre il resto sono straniere. Tra le nazionalità straniere, il 23% delle donne viene dal Marocco, il 12% da Croazia e da Camerun.
Le interruzioni di gravidanza, in provincia, avvengono in media prima delle otto settimane di gestazione, mentre i tempi di attesa per ottenere la certificazione per accedere al servizio sono nell’80% dei casi di 14 giorni.
Ad oggi le tecniche di interruzione utilizzate non sono più quelle chirurgiche, il cosiddetto metodo Karman, ma nella stragrande maggioranza dei casi sono farmacologiche. In pratica alla paziente vengono date due pastiglie: la prima è la conosciuta RU486 alla quale si aggiunge, a distanza di ore, una seconda pillola. —
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