Zatta e quella maratona ai piedi del Muro «corsa senza i tedeschi dell’altra parte»

Atleta bellunese di riferimento sulla distanza, nel 1984 a Berlino ebbe un’esperienza che ancora oggi vive nella sua mente



Berlino fa rima con Muro. Ma fa rima anche con maratona. Una delle più partecipate e veloci di queste gare al mondo fu quella nella quale, nel 2018, il keniano Eliud Kipchoge corse in 2h01’39”, stabilendo il record mondiale. A 30 anni dalla caduta del Muro che separava Est ed Ovest, mondo occidentale e comunismo reale, celebriamo in qualche modo la ricorrenza rivendo le maratone corse, proprio a cavallo del 1989, da alcuni atleti bellunesi: Roberto Zatta e Giulio Pavei, a Berlino nel 1984, e Gianpietro Slongo, in gara nella capitale tedesca nel 1991 insieme all’amico Paolo Centa. Storie di sport che hanno incrociato la Storia, quella con la S maiuscola.

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Roberto Zatta è stato uno degli atleti bellunesi di maggior spessore per quanto riguarda le lunghe distanze. Negli anni Ottanta, con Dino Tadello e Ivano Marcon, era uno dei riferimenti bellunesi (e non solo) della corsa. Feltrino, classe 1959, portacolori dell’Ana Feltre, è stato atleta «dalla determinazione feroce e dalla costanza totale, corretto, umile» (definizione di Tadello) che, una svolta smesso con l’agonismo, ha saputo mettersi a disposizione per insegnare lo sport ai giovani. Il 30 settembre del 1984, a Berlino, Zatta fece un “garone” e ottenne il suo personale: corse in 2h18’37”, prestazione che gli valse il ventesimo posto assoluto e il primo tra gli atleti italiani. A vincere fu il danese John Skovbjerg, che fermò le lancette del cronometro sul tempo di 2h13’35” e precedette di appena 8” il tedesco (dell’Ovest) Wolfgang Krüger. La partenza fu data nel prato davanti al palazzo del Reichstag, il percorso si snodava lungo le vie della parte ovest della città divisa, passando fra l’altro davanti al Checkpoint Charlie (uno dei più importati posti di blocco di Berlino, quello che collegava il quartiere sovietico di Mitte con quello statunitense di Kreuzberg) per raggiungere l’arrivo che si trovava lungo il Kurfürstendamm, il viale da passeggio più amato dai berlinesi. Pioviginava, quel 30 settembre. Oltre 9 mila i concorrenti che si confrontarono sui 42,195 chilometri in quella che si avviava a diventare una delle maratone più frequentate al mondo e che ora, con oltre 40 mila runner al via, fa parte delle World marathon majors.

«Per me Berlino rappresentava la prima gara all’estero», racconta Zatta, «avevo scelto quella gara perché era una maratona velocissima e io volevo fare il tempo. Arrivai a Berlino in aereo, via Francoforte, perché voli diretti dall’Italia a quel tempo non esistevano. Con me c’era il mio allenatore Mario Santomaso che, il giorno della gara, si spostava da un punto all’altro del percorso prendendo la metropolitana e mi supportava dandomi tempi e dispensando incoraggiamenti. Mi ero preparato bene, l’avevamo studiata, costruita, quella maratona: e in effetti riuscii a fare il mio personale, chiudendo ventesimo e primo degli italiani: 2h18’37” fu certo una grande soddisfazione anche se speravo di fare qualcosa meglio. Corsi infatti solo 30” più veloce rispetto alla maratona di Roma, gara molto più impegnativa dal punto di vista muscolare, che avevo affrontato qualche mese prima (2h18’57” il 24 aprile del 1983, ndr). Della gara ricordo la tantissima gente lungo il percorso e l’organizzazione davvero … tedesca, curata in ogni dettaglio», dice ancora Zatta, «e un particolare importante è che al via non c’erano atleti della Ddr. Per quanto riguarda la città di Berlino, il ricordo è proprio quello di una città spaccata in due: a Berlino Ovest ho visto lo stesso intenso movimento che ho trovato poi a New York (Zatta corse in 2h36’20” nel 1987, ndr), vale a dire una città che pulsava 24 ore su 24; mentre Berlino Est, nella quale andammo da turisti, passando, dopo una bella attesa, attraverso il Ceckpoint Charlie, era invece una città ferma, senza alcuna insegna luminosa. Mi fecero una certa impressione anche le code che c’erano davanti ai negozi per fare la spesa. Ora si sanno tante cose del Muro, della vita oltre la “cortina di ferro”; allora si sapeva poco o nulla e in quella visita di meno di un paio d’ore mi sembrò di essere capitato davvero in un altro mondo». –



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