Vittorio Munari e il rugby come insegnamento di vita

Il popolare ex allenatore e commentatore televisivo ha incantato la platea «Per fare bene lo sport bisogna innanzi tutto andare bene a scuola»



. Per ottanta minuti più recupero, Vittorio Munari è stato come una linea dei trequarti degli All Blacks o come una inarrestabile maul degli Springboks. Sollecitato abilmente dalla regia di Elvis Lucchese, il popolare commentatore televisivo ha imperversato in una stipata club house del Rugby Feltre, regalando aneddoti, curiosità, svelando preziosi retroscena, soprattutto, andando dritto al cuore dei valori della palla ovale.

“Munari racconta” dovrebbe essere divulgato in tutte le società della penisola, perché sulle basi indicate da Vittorio Munari può e deve costruire solide fondamenta il rugby italiano. Con il suo fare schietto e canzonatorio l’ex allenatore del Petrarca ha alternato battute esilaranti a riflessioni profonde, dedicate soprattutto ai più giovani presenti in sala. Rivolgendosi ai ragazzi dell’under 16 ha infatti chiesto: «Come andate a scuola? Questa è la prima cosa che vi si deve chiedere. Perché se andate bene a scuola andrete bene anche in campo, altrimenti faticherete in entrambe le cose. Ci sono stati ragazzi che ho avuto alla Benetton, come Pavanello, Ghiraldini o prima ancora Moscardi, che si sono laureati ed eccellevano o tuttora eccellono in campo. Altri, che poi si sono fermati, mi dicevano che non avevano tempo per studiare, che il rugby li impegnava troppo, invece, a impegnarli era la play station».

Munari ha ricordato i tempi gloriosi, di quando con il Petrarca saliva a Feltre per giocare sul campo in terra dello Zugni Tauro.

«Guardate che si può apprendere da tutte le situazioni, da tutte le esperienze che si vivono, per me era un grande insegnamento vedere quei ragazzi del Feltre, in quelle gelide giornate invernali, con il campo ghiacciato che pareva avere degli spuntoni di terra dura, arrivare al campo prestissimo e adoperarsi addirittura per montare i pali delle porte».

E se lo dice il più giovane tecnico della storia del rugby italiano ad aver vinto uno scudetto, a soli 33 anni con il Petrarca Padova nel 1984, o se lo evidenzia l’allenatore del Resto del Mondo all’addio del rugby di Naas Botha prima e di David Campese poi, c’è da prender nota. In quest’ultima occasione dispose di Mark Ella all’apertura, Marcello Cuttitta e Jonah Lomu alle ali e proprio David Campese come estremo.

«Cosa volete che potessi insegnare a ’sti qua! » .

Sul fenomenale trequarti australiano, che Vittorio Munari ebbe il merito di portare in Italia e allenare, ha regalato un prezioso ricordo.

«Dopo aver perso un derby casalingo con il Rovigo, avevamo la partita di ritorno al Battaglini il 4 gennaio. Decisi di fare allenamento alle 11 di mattina del 1° gennaio e si presentò al campo la squadra al completo. C’era la neve e per misurare la disponibilità al sacrificio di quegli splendidi ragazzi, li feci partire con cinquanta flessioni, ebbene il primo che mise la faccia nella neve fu proprio David Campese».

E poi i mille aneddoti, dal “chiamate il pediatra”, dopo un placcaggio subito in allenamento da Marzio Innocenti, al “caregoto” , dai derby Petrarca – Rovigo, alla situazione attuale del rugby italiano, senza dimenticare un elogio al Rugby Feltre per la struttura sportiva del Boscherai e per il movimento rugbistico che sta facendo crescere in zone climaticamente non sempre favorevoli. —

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