Una cordata di dubbi e misteri «Ora vogliamo stanare Cairo»

torino

Prima ci fu Cimminelli. E il Toro – dichiarato fallito – rischiò di sparire. Era il 2005 e la città s’infiammava. Cortei e vernice granata sulla casa dell’uomo accusato di aver ucciso «la leggenda». Era estate, luglio.

Il Torino rischiava di non giocare mai più. Cercare similitudini tra allora e oggi è complicato. Se non fosse che, allora come oggi, dal cilindro della contestazione (contro il presidente Cairo – moderata – oggi e contro Cimminelli allora furibonda) salta fuori qualcuno che dice di voler «salvare», «comprare», «ridare dignità» al Toro. Allora si chiamava Luca Giovannone: finì con un assedio in un motel di periferia. Un’auto sfasciata, la polizia schierata. E l’arrivo di Urbano Cairo. Oggi il nome di chi vuole comprare il Toro e da qualche giorno batte la grancassa a suon di annunci, retromarce, figuracce e silenzi, non si sa. Non lo svelano i tre front men della proposta: un advisor di 27 anni, milanese che si chiama Giuseppe Pipicella con all’attivo il lancio di qualche startup nel milanese.

Un suo collega di Torino, granatissimo, e con decine di foto da ultrà, che si chiama Simone Servetti. E un avvocato: Massimo Scalari. Che, all’unisono, a quella che dovrebbe essere la presentazione della cordata, ma è soltanto la lettura di un documento d’intenti, dicono: «Niente nomi e niente cifre». E che l’obiettivo è «stanare» Urbano Cairo, e costringerlo a venire a un tavolo a trattare. Come? Servetti lo dice così: «Lo scopo di questo primo incontro è far arrivare un messaggio, dicendogli che ci sono interessi di imprenditori e tifosi». Chi sino questi imprenditori? Zero risposte, come se tutta l’operazione fosse ancora da costruire. Sui tifosi, invece, fanno un all in.

Parlando azionariato diffuso stile Barcellona football club, di partecipazione alle decisione, di scelte condivise. Tema questo molto caro agli ultrà che vorrebbero poter dire la loro sulla gestione della società. Ma come fare, attraverso quale forma, non lo spiegano: tutto si ferma a livello di proclama. Se la strada è una quotazione in borsa, l’operazione è lunga e complessa. Se la forma scelta è quella del crowfunding servono garanzie.

L’unica indiscrezione che gira è il nome di un fondo, che dovrebbe garantire solvibilità e la capienza di chi vuole comprare: Toro capital fund. Niente altro. Ma è poco, o nulla. E neanche le tifoserie sembrano molto contente di questa operazione. Tanto che c’è chi tira in ballo un altro «pretendente» alla corona del Toro, Raffaele Ciuccariello. Origini misteriose. Ricchezza – disse – ereditata. E tanta sicumera. È finita senza gloria. Intanto la prima linea della cordata promette: «Faremo avere la proposta a Cairo». Che ha già risposto alle indiscrezioni con un «No grazie». —



Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi