Sartori, il mago dei muscoli «Nello sport tutto è misura»

Belluno
È uno dei preparatori atletici più apprezzati (e più richiesti) della provincia. Ma è anche il titolare di uno studio professionale (molto più di una semplice “palestra” come talvolta, invece, si tende a definirla) dal nome inconfondibile, Ghepardi da salotto. Sergio Sartori si racconta, dai tempi della pallavolo giocata, che lui derubrica scherzosamente come «un errore di gioventù», allo studio professionale di preparazione e recupero che gestisce con la collaborazione di Luca Gallina, fisioterapista e capitano della Pallavolo Belluno di serie B maschile, e del figlio Gianluca Sartori, (massoterapista certificato Riva method.
In principio Sergio Sartori giocava a volley…
«Un errore di gioventù. Alcune porte – esordisce scherzando – sarebbe meglio che rimanessero chiuse… Avrei dovuto fare altro, ad esempio giocare a calcio. Invece ho giocato a pallavolo per almeno quindici anni, tra Leonardo Da Vinci Belluno, Sedico e Ponte nelle Alpi. E proprio l’epopea del Ponte resta il periodo più importante della mia esperienza, guai chiamarla carriera, da giocatore. Perché è lì che ho raggiunto la mia maturità agonistica di giocatore di media categoria».
Ma è anche lì che Sartori è incorso in un gravissimo infortunio al ginocchio.
«Abbiamo raggiunto risultati importanti e in quelle stagioni ho anche potuto recitare un ruolo da protagonista, in un pool di persone di grande spessore. Persone che, non a caso, mi hanno saputo aspettare quando, nel 1991, sono incorso in un bruttissimo infortunio al ginocchio nel quale ho rotto, tra le altre, crociato anteriore e posteriore. È anche per questo che il ginocchio lo so recuperare, ora che svolgo questa professione. È da lì che è partito tutto. Ed è tutto merito di Gino D’Incà, l’allora presidente di quella squadra. Per me è diventato un consigliere di vita. Mi ha aspettato, aiutato. Sia come dirigente che come uomo che, infine, come professionista. Per me è stato il numero uno e gliene sarò per sempre riconoscente».
L’infortunio del 1991, diceva.
«Da lì ho cominciato a fare propriocezione. E da lì è nata in me la volontà di cominciare una ricerca su tutto ciò che è misurabile. Tutto quel che si può quantificare è diventato per me fondamentale. Così, tutto ciò che si poteva misurare nello sport, io ho cominciato a misurarlo. Lo sport è misura, quantificazione. E per avermi indirizzato in questo verso dovrò ringraziare per sempre il professor Modesto Bonan. Se non fosse stato per lui, che ha iniziato a consigliarmi letture e studi, non avrei mai intrapreso questa strada, molto probabilmente. È stato lui a guidarmi, ad esempio, con la tesi a Roma per diventare preparatore. Lavorare e studiare con lui per me era come poter contare sul pilota automatico. Ed avrebbe meritato di lavorare tra i professionisti per il suo valore».
Quando è arrivato il battesimo da preparatore atletico?
«Ho iniziato con la corsa, nei primi anni 2000, assieme a Bonan. Ma la prima esperienza nel semiprofessionismo è arrivata grazie a Giambattista De Mari che, nel 2005-06, mi ha chiamato in B1 al Codogné. Prima di allora avevo soltanto esperienze con squadre della pallavolo locale. Invece, quella volta, dall’oggi al domani mi sono trovato proiettato in una realtà vicina al professionismo».
Quanto al calcio?
«Ricordo l’anno al Piave in cui abbiamo vinto il campionato di Terza categoria passando per i playoff. Avevamo una squadra dall’età media di 32,7 anni, altissima. Sulla carta eravamo chiaramente sfavoriti, in una partita secca, a fine campionato. Invece abbiamo vinto i playoff arrivando in semifinale al 100% della condizione. Era una squadra fatta di giocatori… ignoranti, nel senso più buono del termine. È stato uno dei miei anni più belli. Ma devo dire che i playoff, quando li ho fatti, li ho sempre vinti…».
Anche nella pallavolo.
«Con la Pallavolo Belluno femminile tre anni fa siamo saliti dalla C alla B2 giocando tre partite del triangolare playoff in una settimana. Nella terza, la domenica, avevamo un solo risultato possibile per passare. Ricordo perfettamente l’allenamento del sabato pomeriggio: d’accordo con coach Pavei ho condotto buona parte della seduta facendo un superlavoro per riportare muscoli e testa in uno stato di rilassatezza. L’indomani abbiamo vinto e siamo saliti in B2. Ma non potrò mai dimenticare neppure la cavalcata di un anno fa con i ragazzi della squadra maschile arrivati in serie B. Ha fatto risvegliare un sacco di umori sopiti nell’ambiente della pallavolo bellunese».
Il presente e il futuro di Sergio Sartori è dunque diviso tra studio professionale e preparazione atletica delle squadre?
«L’unica squadra a cui ho già detto subito di sì per la prossima stagione è la Canottieri di calcio a cinque. Lì si sta facendo un ottimo lavoro coi giovani. Quanto alle altre realtà, sono felice che mi abbiano riconfermato. Detto ciò, non è facile conciliare l’impegno delle squadre con quello dello studio professionale. Quest’anno è stato prezioso l’aiuto che mi ha dato mio figlio nel seguire le squadre di pallavolo». —
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