Salvadego, dai gol col Belluno al Missouri. Una nuova vita per l’ex bomber gialloblù

L’INTERVISTA
Missouri, cittadina di Fayette. Centro degli Stati Uniti per intenderci, a metà strada tra St. Louis e Kansas City.
Alessandro Salvadego ci risponde in orario notturno, d’altronde il fuso orario dice sette ore di differenza rispetto a Belluno. La vita del “Pipita” gialloblù da qualche mese è a stelle e strisce. Una scelta di vita che te la cambia, la vita. Il mondo osservato da un’altra prospettiva, diversa di quella della Belluno in cui è nato e cresciuto. Giocandoci anche a calcio, con la maglia gialloblù.
Attaccante prolifico nel settore giovanile e ragazzo voluto fortemente in prima squadra da Roberto Vecchiato, allora. Una decina di reti in serie D, ma soprattutto grande impegno ed attaccamento a quella maglia che è un po’ una seconda pelle. Sarebbe rimasto forse a vita lì al Polisportivo, perché al classe 1998 volevano e vogliono tutt’ora bene tutti. Adesso però ha deciso di investire sul proprio futuro, prendendo un aereo e raggiungendo il mitico sogno americano.
Alessandro, raccontaci un po’ dov’è la tua nuova casa.
«A Fayette, una cittadina universitaria del Missouri. È praticamente composta solo dal college Central Methodist University (CMU). Non distante da qui ci sono St. Louis e Kansas City, dove nel fine settimana vado a fare qualche spesa, sfruttando il poco tempo libero a disposizione».
Ma quando nasce l’opportunità degli Stati Uniti?
«Durante il lockdown di un anno fa mi ha scritto la College Life Italia, che si occupa delle borse di studio sportive ed accademiche negli Stati Uniti. Da lì abbiamo cominciato a parlare e da parte mia l’interesse non mancava di certo. Così hanno realizzato un video del sottoscritto contenente azioni, gol, assist, inviandolo successivamente ai coach delle squadre universitarie americane. In base a quello mi sono giunte sette, otto proposte. Grazie al consiglio di qualche italiano presente qui ho accettato quella del CMU, capolista nella propria divisione».
Immagino avrai dovuto valutare i pro e i contro.
«Si, ma i pro superavano di gran lunga i contro. Anzi, li sovrastavano! Ragioniamo: in serie D non puoi vivere di calcio, questo è assodato. Inoltre cominciavo a sentire stretti i confini di Belluno città, quindi dentro di me era già forte da tempo il desiderio di dare una svolta alla mia vita. Farlo continuando sia a giocare e sia a studiare l’ho ritenuto un’occasione da non lasciarsi sfuggire. Tra l’altro negli Usa il sistema è perfettamente organizzato affinché tu possa fare entrambe le cose. Alla mattina si va a lezione, il pomeriggio invece è dedicato all’allenamento. Inoltre se devi assentarti per le partite hai la giustificazione, ad esempio. Quasi quasi viene data addirittura più importanza allo sport rispetto allo studio. L’unico dispiacere riguardava il lasciare la squadra del Belluno».
A proposito, chi è stata la prima persona gialloblù con cui hai parlato?
«Il Cobra, il capitano Simone Corbanese, seguito poi dal presidente Alberto Lazzari. Il tutto a tre, quattro mesi dalla data di partenza, in quanto era giusto avessero il tempo di pensare se e come sostituirmi».
I college sono come nei film americani?
«Sì sì, senza dubbio. Le strutture sono identiche. Abbiamo palestre enormi, tutti gli studenti vanno a tifare le squadre, vivi in un ambiente molto famigliare».
Come è stato l’impatto con l’inglese?
«Duro, soprattutto il primo mese. Anche adesso non è semplice però già noto un miglioramento nella capacità di esprimermi. Poi con chi viene da altri paesi ci si capisce, essendo non madrelingua e quindi più lenti nel parlare. Al contrario, gli americani si mangiano le parole».
La tua giornata tipo, a cui tra l’altro prima hai fatto cenno?
«La mattina frequento tre o quattro ore di lezione, invece pomeriggio ci si allena, dopo un’ora di palestra. Non manca mai la visione dei video degli avversari. Senza dimenticare comunque lo studio individuale, perché ogni giorno assegnano dei compiti. A volte sono pure parecchi, quindi resta ben poco tempo per te stesso. I giorni iniziali alle 21.30 ero già addormentato, perché reggere il ritmo non era affatto semplice. Adesso ci sono abituato».
Riguardo il Covid invece, quali sono le restrizioni nella città dove vivi?
«Le lezioni avvengono in presenza, indossando chiaramente la mascherina. Ogni settimana veniamo sottoposti al test, però poco altro. Negozi e quant’altro sono tutti aperti. Chiaro, si cerca di porre la massima attenzione nei momenti di aggregazione, ma a volte non sembra neppure di essere nel bel mezzo di una pandemia».
Guardiamo al futuro. Quanto pensi di fermarti negli Usa?
«Ho tre anni di tempo per concludere gli studi. In seguito non mancherebbe la possibilità di cimentarmi in attività alternative, come l’assistant coach. Di certo qui mi trovo davvero bene, sto conoscendo persone provenienti da tutto il mondo con i quali condividiamo moltissime esperienze. Nel frattempo quest’estate rimango qui, essendo in programma tornei professionistici con osservatori, mentre farò ritorno a casa se possibile a Natale».
Del calcio americano, cosa ci dici?
«È molto fisico, gli avversari non tirano mai indietro la gamba. Qualche squadra più tecnica la incrociamo, ma ad esempio il mio team gioca molto la palla alta, rischiando poco dietro. Magari non è divertentissimo, però efficace sì». —
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