Parla l'ex patron del Napoli: i retroscena dell'acquisto di Maradona
Corrado Ferlaino è a Feltre, dove viene spesso per legami famigliari. E parla di tutto, dal Napoli di oggi, al grande giocatore argentino

FELTRE. L’occasione per parlare di Napoli e di calcio con chi ha fatto grande il calcio a Napoli capita quasi per caso, grazie all’ospitalità di Ulisse Baldisseri, del B&B San Liberale di Feltre, dove il presidente del Napoli scudettato, l’ingegner Corrado Ferlaino, è ospite per qualche giorno, con la moglie, Roberta Cassol, una feltrina doc.
Il patron del Napoli per oltre trent’anni dimostra di apprezzare il Feltrino.
«Qui c’è aria buona, è una zona del Veneto molto bella, mi sono preso volentieri questi giorni di riposo per respirare quest’aria salutare, perché lavoro ancora molto».
L’opportunità è imperdibile e ne nasce una chiacchierata a tutto tondo, dalla formazione partenopea di allora a quella di oggi, ovviamente prendendo spunto dal 4-2 casalingo patito dagli azzurri con il Manchester City in Champions League.
«Eravamo da parenti», spiega Ferlaino «e qualcosa ho visto, anche se è vero, come si dice, che se posso i secondi tempi non li guardo, perché amo troppo il Napoli e finisco per soffrire. La squadra di Sarri ha un gioco molto dispendioso e contro avversari così forti le energie devono sorreggerti fino al novantesimo. Napoli adesso sogna di nuovo, perché ha un grande allenatore, perché gli allenatori devono avere fame e Maurizio Sarri, che è venuto dall’Empoli, ha dimostrato di mettercela tutta. Per la serie A il Napoli è una squadra importante».
Napoli sogna quello scudetto che manca proprio dalla gestione Ferlaino, dal Napoli di Diego Armando Maradona, i ricordi del presidente scudettato sono tuttora molto vivi.
«È stato un impegno notevole di lavoro, bisogna considerare che ai miei tempi gli unici incassi erano quelli del botteghino, che nel calcio di oggi rappresentano il 5% delle risorse delle squadre di vertice. Quello di oggi è un altro calcio, ci sono i diritti tv, c’è la Champions. All’epoca dovevo combattere contro colossi dell’economia, io sono un ingegnere, che lavora nel privato, per cui figuriamoci cosa voleva dire affrontare Fiat e Mediaset, per citarne un paio. Per competere con avversari del genere mi sono preso il migliore tecnico sportivo che c’era sulla piazza, ossia Italo Allodi, ma vincere uno scudetto a Napoli è faticosissimo, così ad Allodi è venuto un ictus e allora ho preso un suo allievo, Luciano Moggi».
Il Napoli di Ferlaino accarezzò già negli anni Settanta il sogno del tricolore, con Luis Vinicio in panchina, ma a metà anni Ottanta arriva la svolta.
«Ero già presidente del Napoli da tanti anni. O smettevo o dovevo tentare di vincere lo scudetto e per farlo dovevo prendere il migliore al mondo. Bisogna pensare che a Milano i giornali sportivi vendevano un milione di copie al giorno, mentre a Napoli il Mattino vendeva 70mila copie, questo per far comprendere dove stava il seguito e quindi dove stavano anche gli interessi attorno al calcio. Per acquistare Maradona ci volle molto coraggio, perché già in precedenza, quando presi Savoldi, per un miliardo e quattrocento milioni, oltre a due giocatori, successe uno scandalo a Napoli perché gli uomini della città, che si definiscono di cultura, mi accusarono di aver speso tutti quei soldi per un giocatore, quando la città era senza fognature e scuole, figurarsi cosa poteva accadere per Maradona, che costò 13 miliardi e mezzo di lire».
Corrado Ferlaino decise di muoversi in maniera diversa, cercando gli appoggi nel mondo della politica e dei mass media.
«All’epoca la Campania aveva sei ministri, gente come De Mita, Cirino Pomicino, De Lorenzo, Gava, c’era Di Donato, vice segretario del partito Socialista, era una Napoli che politicamente contava. Il direttore della Gazzetta era il mio amico Gino Palumbo, il direttore della Rai era l’altro mio amico, Biagio Agnes, per cui ci fu un complesso di circostanze che mi favorì per reggere la pressione della critica».
Un altro aspetto favorì il presidente Ferlaino nella corsa all’acquisto del Diez.
«Diciamo che il calcio italiano si è distratto e mi ha consentito questa operazione di mercato. Una sola società poteva anticiparmi nell’acquisto di Maradona ed era la Juventus per volere di Agnelli, ma per fortuna Boniperti disse all’avvocato Agnelli che Maradona era indisciplinato e non era da Juve, credo che l’avvocato poi se ne sia pentito».
Quel Napoli, però, non era solamente Maradona, infatti Corrado Ferlaino svela un altro retroscena, relativo al fortissimo centravanti brasiliano Careca.
«Passai un Natale a Rio in un albergo dove c’erano molti dirigenti e mi parlarono di Careca. Vidi dei filmati e mandai una persona a trattare l’acquisto dal San Paolo, completando un’operazione importante. Non c’erano, però, solo i fuoriclasse, nella costruzione della squadra furono importanti giocatori come Bagni, oppure Francesco Romano, che veniva dalla Triestina e dettò ordine alla squadra. E poi c’era Giordano, insomma eravamo fortissimi».
Sono stati quelli anni magnifici, di grandi soddisfazioni ma anche enormi sacrifici, personali ed economici. Corrado Ferlaino svela i timori che l’hanno sempre afflitto.
«La mia paura era che le scommesse clandestine, la cui organizzazione era proprio a Napoli, avvicinassero i miei giocatori. Tanto per dire, nel 1987 stavamo per vincere il secondo scudetto consecutivo, avevamo un largo margine di vantaggio sul Milan e non ho mai capito come sia stato possibile perdere quel campionato. Non ci sono prove, non ne ho mai avute, ma per vincere quella che potremo chiamare “pressione ambientale” mettevo premi eccezionali, per garantire il massimo impegno della squadra in quelle partite che la Questura di Napoli, che mi stette molto vicina, mi avvisava essere a rischio. Dovevo, insomma, mettere premi enormi per vincere le mie paure, perché non sono mai stato certo di nulla».
La dimensione del Napoli fu anche europea.
«In quegli anni vincemmo anche la coppa Uefa, che era importante e poi vincemmo nel 1990 il secondo scudetto. A quel punto in Maradona si acutizzò quella che chiameremo la voglia di vincere la tristezza, nel modo che tutti sanno e fu trovato positivo all’antidoping, sancendo l’inizio del declino della squadra».
Decisiva nella gestione Ferlaino è stata pure la scelta degli allenatori, da Bianchi a Bigon, da Ranieri a Lippi.
«Per cercare di vincere la forza politica degli altri, feci carriera nelle istituzioni sportive. Per anni fui consigliere federale e per un certo tempo vicepresidente del centro tecnico federale di Coverciano, dove conobbi Bianchi, che risultò il migliore del corso allenatori e allora decisi di assumerlo. Alberto Bigon, invece, lo presi perché i giocatori del Napoli seguivano Maradona e non rispondevano più alla disciplina di Bianchi. Avevamo bisogno di un allenatore che non si scontrasse con Maradona, anche perché non serviva un grandissimo tecnico, in quanto la squadra giocava a memoria. Negli anni Novanta scelsi poi Ranieri e Lippi, furono anni difficili, avevamo i debiti degli anni d’oro, di tutti quei premi pagati per vincere e una grande crisi poteva essere superata solo con grandi allenatori».
Quale sia il futuro del calcio italiano, ma soprattutto di quello napoletano, Ferlaino l’ha ben chiaro in testa.
«Napoli non interessa gli investitori stranieri, ai quali interessano piazze che garantiscano un ritorno di immagine, infatti si sono buttati su Milano e Roma, anche perché la Juve ha già la Fiat alle spalle. Ai miei tempi le squadre erano composte da 15 giocatori, ora siamo arrivati a 25. Nel mio Napoli nessuno si fece male, ma ormai il calcio è veramente cambiato».
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