Zaia: «Sul fine vita uscire dall’ipocrisia, il Parlamento approvi una legge»
L’ex governatore parla dopo l’ultima sentenza della Consulta: «Un Paese civile affronta le criticità bioetiche. Lo chiedono i malati»

Luca Zaia, presidente dell’assemblea del Veneto, i giudici della Consulta si pronunciano nuovamente sul fine vita e il suicidio assistito: l’intervento legislativo delle Regioni è legittimo – sentenziano – purché non invada le competenze statali. Nella maggioranza di centrodestra, tuttavia, le resistenze e l’imbarazzo permangono. Lei che ne pensa?
«Io credo sia tempo di uscire dall’ipocrisia. Un Paese civile affronta le criticità bioetiche, il diritto a concludere l’esistenza in modo dignitoso non è un capriccio né la fuga in avanti di qualche politico: l’ha sancito nel 2019 la Corte Costituzionale, indicandone i requisiti – diagnosi infausta, supporti vitali, grave sofferenza, pienezza di facoltà mentali – e sollecitando il Parlamento ad approvare una legge in materia. Ad oggi, i malati veneti che hanno chiesto l’assistenza medicale sono una ventina e tre di loro hanno ricevuto l’autorizzazione dai comitati etici delle Usl. Manca però la certezza sui tempi di risposta della sanità pubblica e non è stata individuata la figura titolata a somministrate il farmaco. Su questi punti, ritengo che la Regione abbia il dovere di esprimersi».
Il fronte del rifiuto sostiene che l’eutanasia riduce le persone più fragili a scarti sociali, proponendosi di sgravare le famiglie e il welfare, non di tutelare davvero chi soffre…
«Alcuni si oppongono, altri sono favorevoli, poi ci sono gli indecisi. Ogni posizione merita rispetto ma tutti dovrebbero battersi affinché il vuoto legislativo sia sanato. Non bastasse, segnalo che dal 2017 è in vigore il cosiddetto testamento biologico, un istituto che consente a tutti di depositare le loro volontà circa il percorso terapeutico e le cure estreme. Molti l’hanno già fatto, affidandosi a notai, avvocati, familiari».
C’è chi lamenta la rinuncia alle cure palliative, concepite come alternativa al suicidio assistito.
«In quest’ambito il Veneto è leader, chi rinuncia a queste cure agisce in base ad una precisa scelta, non per l’assenza di offerta. Ricordiamoci le parole della signora Elena di Spinea, affetta da una patologia oncologica devastante, si è congedata dalla vita con un videomessaggio di elevata civiltà, motivando la decisione di morire in Svizzera. Mi ha colpito molto. Non spetta a noi giudicare, dobbiamo rispettare la volontà altrui, tanto più quando è espressa da persone afflitte dalla sofferenza».
In più occasioni, lei ha affermato che le valutazioni politiche non devono condizionare l’approccio alla sfera bioetica. Tuttavia, il 15 gennaio 2024, il consiglio del Veneto ha respinto, pur di strettissima misura, il progetto di legge sul suicidio medicalmente assistito che lei stesso aveva patrocinato. Ad affossarlo, oltre a Fratelli d’Italia, forzisti, e a un’astensione dem, anche una frangia dissidente del suo partito, la Lega. Che sensazioni ha provato?
«C’era libertà di coscienza e, personalmente, non ho esercitato alcuna pressione sul voto. Ciò detto, il mio pensiero è corso a quanti, perseguitati dal dolore, attendevano dalle istituzioni una risposta che non c’è stata. Insisto: spetta al Parlamento nazionale non a noi, legiferare nel merito della questione. Le Regioni hanno il compito di mettere a punto le norme di dettaglio e organizzative, che non investono i princìpi ma incidono direttamente nel percorso del fine vita. In assenza di queste, le persone sono costrette a recarsi all’estero oppure, è successo a Treviso, a chiedere l’aiuto di medici volontari per la somministrazione del farmaco».
Nella realtà, il Veneto è tuttora privo di una regolamentazione e il suo successore a Palazzo Balbi, non sembra includerla tra le priorità.
«Con il presidente Stefani non ho ancora discusso l’argomento. In ogni caso, pur in assenza di una legge, i veneti continueranno a presentare le domande di assistenza nel fine vita. E a quanti cercano la rissa ideologica, vorrei dire che non stiamo parlando di un vezzo ma di un problema, anzi di un dramma, reale».
C’è un’esperienza personale che ha influenzato le sue convinzioni sull’argomento?
«Seguo questi casi da molto tempo. La testimonianza di Elena mi ha toccato, come l’incontro con Stefano Gheller, il bassanese affetto da distrofia muscolare, in carrozzina dall’età di 14 anni. Amava la vita, chiedeva una via d’uscita qualora la malattia fosse diventata insopportabile, la sua istanza è stata accolta ma è morto prima della procedura assistita, per l’aggravarsi delle patologia. Aveva 50 anni, era un ragazzo in gamba».
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