Favette e pan dei morti, una tradizione veneta: sapori e identità surclassano Halloween

Dove Halloween gioca con la paura della morte, la tradizione veneta la addolcisce. Le favette e il pan dei morti non esorcizzano la fine: la raccontano con tenerezza, inserendola nel ciclo naturale, dove non c’è vita senza morte

Gianni Moriani
Le favette dei morti, a base di mandorle: uno dei dolci della tradizione veneta per i giorni dei defunti
Le favette dei morti, a base di mandorle: uno dei dolci della tradizione veneta per i giorni dei defunti

L’inizio di novembre, nella nostra tradizione, si inscrive in un doppio percorso: da un lato la visita ai cimiteri, il raccoglimento silenzioso e, per chi crede, la preghiera; dall’altro, un insieme di usanze alimentari espressione del rapporto complesso e ritualizzato tra vivi e morti, che in Veneto si veste di dolcezza e ricordo.

Tra i gesti più antichi della tradizione contadina ci sono infatti i dolci dei morti: un’offerta semplice, ma carica di significato, che unisce memoria e comunità.

In Veneto, come in molte altre regioni italiane, questi dolci non sono solo dessert: sono un ponte tra generazioni, un modo per onorare chi non c’è più. Le favette dei morti – piccoli rotondi dolci a base di mandorle - sono forse i più noti. Di tre colori, bianco, rosa e marrone, rappresentano nascita, vita e morte.

La fava è simbolo antichissimo del mondo dei defunti, nell’antichità era considerata un legame tra il mondo dei vivi e quello dei morti, perché la sua radice, affondando profondamente nella terra, sembrava “raggiungere” l’aldilà. Solo in tempi relativamente recenti è diventa dolcezza e ricordo.

Accanto alle favette, si prepara il pan dei morti (o pan trandoto), impasto denso di biscotti secchi, frutta secca, cacao e vino dolce. Il sapore è deciso, quasi austero: un dolce che racconta la povertà rurale, ma anche la ricchezza dei gesti familiari. La forma è ovale leggermente schiacciata e la consistenza è abbastanza dura, proprio a ricordare un osso.

La tradizione contadina veneta considerava che nella notte tra l’1 e il 2 novembre le anime dei morti tornassero nelle loro case. Il dolce era appunto preparato per “dar loro ristoro” e render loro omaggio, offrendo qualcosa di semplice, ma nutriente. Nell’occasione la sera si lasciava la tavola imbandita: le anime dei defunti ritornavano a visitare la casa, accolte da dolci, castagne e vino.

Oggi, queste usanze riaffiorano nelle case e nei forni artigiani, dove la tradizione veneta resiste con la sua autenticità. Le favette profumano ancora di limone e alchermes, mentre il pan dei morti rimane un simbolo dell’autunno e della memoria condivisa.

In questo contesto, la diffusione di Halloween porta con sé una curiosa dissonanza. La festa anglosassone, fatta di zucche intagliate e maschere orrifiche, ha conquistato i bambini e le vetrine, ma rischia di oscurare il significato profondo del ricordo dei defunti.

Dove Halloween gioca con la paura della morte, la tradizione veneta la addolcisce, la accoglie e la sublima nel gesto del cucinare. Le favette e il pan dei morti non esorcizzano la fine: la raccontano con tenerezza, inserendola nel ciclo naturale, dove non c’è vita senza morte.

Riscoprire questi dolci non è solo un modo per salvare una ricetta antica, ma per restituire senso a una festa che unisce vivi e morti, casa e memoria, affetto e silenzio. Prepararli significa ricordare; gustarli, ringraziare.

Nei giorni dei morti, accanto a una insulsa zucca svuotata e bucherellata, trovare il tempo di impastare una tradizione che parla ancora di noi significa compiere un gesto carico di umanità, consolidando al tempo stesso la nostra identità. 

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