Stallo romano sul candidato per il Veneto, Zaia pronto a fare il mediatore
Il governatore disposto a vedere i generali del centrodestra. Meloni prende tempo


La matassa è sempre più ingarbugliata, quindi per venirne a capo il governatore uscente del Veneto, Luca Zaia ha fatto sapere a chi di dovere di essere pronto a sedersi al tavolo dei leader per dare una mano.
Quando sarà però il vertice decisivo, dopo due andati a vuoto? Non si sa, perché la patata bollente del candidato che succederà al Doge per esser digerita in fretta va cucinata a fuoco lento. Pare infatti che Giorgia Meloni non voglia un ferragosto monopolizzato da polemiche sui media, sollevate dagli scontenti (che inevitabilmente saranno tanti) sulla scelta compiuta dalla maggioranza per il Veneto.
Scelta che peraltro si trascina un do ut des in cui la Lega dovrà cedere la Lombardia: apriti cielo... Perciò se va tutto bene, il nome verrà tirato fuori dal cilindro a fine agosto, così subito dopo bisognerà partire con la campagna elettorale, gambe in spalla e tutti zitti, polemiche tacitate sul nascere e via alla pugna.
Allora, nello stallo più completo, Zaia è disposto a riunirsi con i generali per aiutarli a trovare una quadra. Anche perché finora nessuno lo ha interpellato, almeno così pare, anche se più di un colloquio bilaterale con Meloni e Salvini ovviamente lo avrà avuto, ma senza frutti visibili. Del suo destino si parla tanto, ma a vanvera.
Per promuoverlo ministro, bisogna che un ministro della Lega esca dal governo, perché Giorgia vuole battere il record degli esecutivi più longevi e quindi niente rimpasti, ma solo “uno esce e uno entra”, casomai. Visto che la Lega ha solo Salvini, Giorgetti, Piantedosi e Locatelli, si capisce bene che ad essere “sacrificato” sarebbe il titolare dell’Interno, operazione non proprio banale. Anche una promozione al vertice di Eni dovrebbe attendere il maggio 2026 quando si rinnova il consiglio.
Resta pertanto in piedi la volontà del Doge di correre con una sua lista per portare acqua al mulino del centrodestra, anche se il candidato fosse un civico. I partiti però sanno di rischiare molto. FdI e FI verrebbero cannibalizzati, ma Zaia assicura che prenderebbe voti a sinistra dove gli altri non arrivano.
Per questo nelle trattative sottobanco i leghisti veneti hanno fatto filtrare che sono pronti ad aumentare i posti in Giunta con una serie di sottosegretari alla presidenza, facendo lievitare così il numero di poltrone vip da otto a dieci. E una lista col nome di Zaia avrebbe un vantaggio: la legge elettorale del Veneto prevede un premio di maggioranza più alto in base alla percentuale di voti presi.
Un tot se la coalizione supera il 40 per cento dei voti, poi ancora più alto se va oltre il 50, fino a raggiungere 42 consiglieri regionali su 50 quando si supera il 60 per cento di consensi, come avvenuto nel 2020. Ma visto che si voterà il 16 novembre, non c’è fretta, come ha fatto notare Antonio Tajani.
Dall’altra parte però il centrosinistra sta sciogliendo i nodi delle candidature nelle varie regioni (in Toscana Schlein ha ceduto sulla riconferma di Giani, in Campania De Luca accetta Fico se il figlio Piero farà il segretario regionale del Pd). Mentre a destra se la prendono comoda, sperando in un “tre a tre” finale. Ovvero Puglia, Campania e Toscana mantenute dalla sinistra; e Veneto, Marche e Calabria mantenute dalla destra.
Non a caso Meloni fa campagna ad Ancona petto in fuori e leggi al vento pro marchigiani. Con una pioggia di sconti fiscali sul cielo delle Marche. Se alla fine non vi fosse nessun vincitore, avrebbe vinto lei.
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