Il presidente Legambiente Veneto sugli alberi: «Basta falsi miti, torniamo alla realtà»
L’ambientalismo serio non si pratica urlando “vergogna” o lanciando calunnie sui social, ma studiando, pianificando e assumendosi la responsabilità di governare in modo armonioso la coesistenza tra natura e città, senza assoggettare gli interessi di una all’altra

Nel grande ecosistema delle teorie neomondiste e terrapiattiste esiste una sottospecie particolarmente rumorosa: quella che vede nel taglio di un albero urbano la prova definitiva di un oscuro complotto globale contro la natura, orchestrato da non meglio precisati poteri forti armati di motosega.
Secondo questa visione, ogni albero è eterno, immortale, innocuo e soprattutto sempre sano, indipendentemente da età, specie, contesto urbano, stabilità strutturale o patologie. Un albero cade? Colpa dell’uomo cattivo. Un ramo si spezza? Crimine ambientale. Un platano piantato negli anni ’50 in mezzo all’asfalto soffre e va rimosso? Non è vero, vogliono solo fare business con la vendita al mercato nero della sua legna.
Peccato che la biologia, l’arboricoltura e la fisica raccontino una storia un po’ diversa. Gli alberi non sono totem: sono organismi viventi. Un dato scientifico incontrovertibile: gli alberi nascono, crescono, invecchiano e muoiono. Certo, teoricamente gli alberi potrebbero vivere per secoli, ma in natura incontrano inevitabilmente fattori che ne determinano la fine, rendendoli vulnerabili nonostante la loro incredibile longevità potenziale.
In ambito urbano, questo ciclo è spesso accelerato dalla presenza di suolo compattato e povero di ossigeno, stressato da inquinamento, da potature storicamente scorrette e da infrastrutture a volte poco utili (soprattutto quelle del passato) ma altre volte necessarie, se vogliamo ad esempio superare i modelli di mobilità fossile ed inquinante auto-ed-ego-centrici (come ci aiuteranno a fare le due nuove linee del tram a Padova che si stanno finalmente realizzando, con buona pace dei nostalgici del motore a scoppio). Inoltre, ogni albero in ambito urbano è potenzialmente compromesso da funghi cariogeni, marciumi interni e difetti strutturali invisibili all’occhio non esperto.
Un albero può apparire “verde” e tuttavia essere meccanicamente instabile. Il colore delle foglie o la presenza di nidi di uccelli non è un certificato di sicurezza statica, così come un’auto lucida non è automaticamente priva di guasti ai freni. Sgomberiamo però subito il campo delle polemiche: mantenere un albero in vita, se in salute e urbanisticamente non pericoloso, è un dovere civico e morale per ogni cittadino, impresa, amministratore.
Assorbono carbonio, riducono l’inquinamento, producono ossigeno, proteggono il suolo, ospitano animali, valorizzano gli immobili, aiutano la nostra psiche, proteggono da rumori, sono memoria storica, stimolano lo sviluppo dei bambini, fanno risparmiare energia e puliscono l’acqua. Una città sempre più verde è il sogno di tutti, per questo ogni congettura o “lezione di ambientalismo” è preferibile resti in tasca al mittente. Ma il vero ambientalismo si basa su dati e non su slogan, e la gestione moderna del verde urbano si deve fondare su valutazioni di stabilità, analisi strumentali, pianificazione del rischio, sostituzioni programmate, incremento della biodiversità.
Non certo sulla conservazione cieca dell’esistente. Molti alberi oggi abbattuti o a rischio di abbattimento sono il risultato di impianti monocolturali del passato o di specie inadatte all’ambiente urbano. Un’eredità non sempre positiva che ci hanno lasciato i nostri avi, a cui possiamo riconoscere la buona volontà ma non certo la capacità di pianificazione a lungo termine, rimasta oggetto sconosciuto per lunghi decenni e – ahinoi– ancora tale per gli imbonitori neomondisti del nostro secolo.
Difendere a oltranza un albero pericoloso non è ecologismo, è negazione del rischio. E il rischio, in città, riguarda persone e beni reali, non concetti astratti. Tagliare non è distruggere, se l’abbattimento è motivato e documentato. Si riduce il rischio per la sicurezza pubblica, si apre spazio a nuove piantumazioni più idonee, migliora la resilienza del verde urbano ed è spesso l’unica scelta responsabile possibile. Il vero scempio ambientale non è togliere un albero a fine ciclo, ma non sostituirlo, non progettare, non manutenere, non conoscere.
L’ambientalismo serio non si pratica urlando “vergogna” o lanciando calunnie sui social, ma studiando, pianificando e assumendosi la responsabilità di governare in modo armonioso la coesistenza tra natura e città, senza assoggettare gli interessi di una all’altra. Chi difende la natura ignorando la scienza non la protegge: la usa come bandiera ideologica.
E la natura, quella vera, non ha bisogno di slogan. Ha bisogno di conoscenza, competenza e scelte razionali. Anche quando fanno rumore.
*presidente Legambiente Veneto e segreteria nazionale di Legambiente
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