Veneto, bombe d’acqua e rischio idrogeologico: 2.500 cantieri in 5 anni
In 8 anni 44 stati di crisi in Veneto e danni per miliardi. Regione e Comuni chiedono più fondi e norme snelle contro gli effetti del cambiamento climatico

L’ultimo caso, in ordine di tempo, è quello della scorsa notte a Bibione: 245 millimetri di pioggia caduti in otto ore. Un’enormità, l’ennesima emergenza maltempo. Sempre più spesso, quelli che un tempo erano normali acquazzoni diventano oggi bombe d’acqua, con allagamenti in pianura e frane in montagna.
Qualche numero per inquadrare il fenomeno in Veneto. In 8 anni, dal 2017 ad oggi, la Regione ha dichiarato 44 stati di crisi (l’ultimo ieri, appunto, per il centro balneare); e sono 12 quelli riconosciuti dallo Stato. Un altro dato per capire la causa del problema: 1,5 gradi, ovvero l’innalzamento medio della temperatura nell’ultimo trentennio. E infine una terza cifra per comprendere gli effetti della rivoluzione climatica: 2.527 cantieri aperti da Palazzo Balbi nel giro di appena cinque anni per prevenire o per sistemare gli effetti delle avversità meteorologiche.
Il futuro
Se il presente è complicato, il futuro appare tutt’altro che roseo. Il problema è infatti destinato ad acuirsi, come messo in evidenza il Centro Studi sugli Impatti dei Cambiamenti Climatici (Critical): a fine secolo - che poi sono 75 anni - la temperatura aumenterà di 4 gradi rispetto a fine Novecento e l’intensità degli eventi estremi sarà fino al 50% in più.
L’allarme
Tutti numeri che raccontano una situazione di rischio per i cittadini e di forte impegno economico per le casse pubbliche. Tanto che i Comuni e le Province venete, con il loro direttore e presidente Carlo Rapicavoli, hanno lanciato l’allarme.
«Non è facile quantificare l’ammontare delle risorse destinate a parziale copertura dei danni causati dagli eventi atmosferici, si tratta di molti miliardi di euro», sottolinea Rapicavoli precisando che l’importo è comunque inferiore a quello stanziato per interventi di manutenzione e prevenzione.
«I Comuni non hanno le risorse, ci deve essere un’azione da parte del governo con la previsione di fondi adeguati». Ma c’è anche un problema di ruoli da definire: «La sovrapposizione di competenze insieme alla burocrazia delle procedure rendono tutto più complicato», prosegue Rapicavoli invocando un’azione di semplificazione.
Le cose fatte e da fare
Semplificazione sostenuta anche dalla Regione: «Le norme autorizzatorie sono complesse e molti sono i ricorsi. Da 10 anni tento di chiedere una semplificazione normativa, è una questione di incolumità pubblica», spiega l’assessore regionale al Clima e al Dissesto idrogeologico Gianpaolo Bottacin che illustra quanto fatto e quanto c’è ancora da fare.
«A causa dei cambiamenti climatici, misurati e misurabili, è stato riscontrato un incremento medio della temperatura di 1,5 gradi nell’ultimo trentennio. La conseguenza è l’aumento della frequenza di eventi meteo, tipo bombe d’acqua, nubifragi violentissimi concentrati nel tempo e nello spazio. Questi fenomeni sono destinati a intensificarsi e metteranno in crisi in particolare il sistema di smaltimento delle acque meteoriche, quelli che comunemente chiamiamo i tombini. È su questo aspetto che andrà concentrata l’attenzione da parte di chi ne ha la competenza. Il che significa che sono sì necessarie le grandi opere idrauliche per i fiumi e per i canali secondari, ma sempre di più occorrerà agire sullo smaltimento delle acque meteoriche. E per farlo vanno riviste anche le norme tecniche: diversamente il rischio è di progettare cose già vecchie con il sottodimensionamento delle reti».
Tradotto: da fare ce n’è per tutti, per la Regione, per per i Comuni, per le società partecipate e per Roma che dovrà mettere i fondi. La Regione, da parte sua, non è rimasta con le mani in mano assicura a tal proposito Bottacin: «Dopo l’alluvione del 2010 fu commissionato uno studio all’Università di Padova in cui venivano evidenziate opere da realizzare in Veneto per 2,7 miliardi, finalizzate a ridurre il rischio idrogeologico. Il piano venne poi implementato portandolo a 4 miliardi di opere necessarie. In 10 anni sono stati fatti interventi per 2,2 miliardi e negli ultimi 5 anni sono stati attivati 2.527 cantieri, che vanno dalla grandissima opera come il bacino di laminazione a Pra’ dei Gai appena iniziata fino a “ritocchi” da 30 mila euro».
Gli interventi
Tra gli interventi più significativi sia in termini di costi che di ripercussioni positive contro gli allagamenti ci sono le diaframmature, il rinforzo degli argini. «Sono opere invisibili e molto costose ma importantissime per la sicurezza», prosegue Bottacin, «Abbiamo agito per esempio sul tratto terminale di Piave, Tagliamento, Po e Adige. Semplificando: si inserisce una barriera negli argini garantendo maggiore solidità, così non trafila più l’acqua e si impedisce l’azione degli animali».
Poi ci sono i bacini di laminazione: «La Regione ha speso 500 milioni. Se non si fossero state fatte le briglie a Sottoguda un paese sarebbe stato travolto; Vicenza avrebbe potuto essere allagata ripetutamente, ma non è accaduto grazie al bacino di Caldogno, di Isola Vicentina, di viale Diaz».
Molto resta ancora da fare, in particolare a livello di reti di smaltimento delle acque meteoriche per evitare l’intasamento dei tombini e il fenomeno fin troppo noto nel territorio di strade e scantinati allagati.
E qui l’intervento tocca ai Comuni (le cui casse non sono certamente pingui) e alle società partecipate che si occupano del servizio idrico. —
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