Bullizzato al centro estivo perché di colore, la madre: «Colpiscono con le parole»

È successo al centro estivo di Cavarzano, nel Bellunese. La vittima è un bambino africano scappato dalla guerra
Alessandro Michielli
Bambini a un centro estivo (foto di archivio)
Bambini a un centro estivo (foto di archivio)

Bullizzato per il colore della sua pelle. È successo ad un bambino di dieci anni di origini africane al centro estivo di Cavarzano, gestito dalla cooperativa sociale Società Nuova.

Il ragazzino, scappato dalla guerra nel 2016 insieme alla madre – oggi ventinovenne –, è stato maltrattato per giorni da alcuni coetanei che disprezzavano le sue origini.

«A volte mi chiedo se sia peggio la guerra o il razzismo», dice laconica la mamma del bambino. «Ho mandato mio figlio al centro estivo per farlo divertire con gli altri bambini, ha iniziato a luglio. La prima settimana è andata bene, la seconda settimana, invece, quando sono andata a prenderlo, le maestre mi hanno detto che aveva pianto tutto il giorno e che non voleva giocare con nessuno. È successo questo: lui era seduto in sala e tre bambini hanno iniziato ad inveire contro di lui: il motivo era il colore della sua pelle».

«Il secondo giorno è successo di nuovo», continua la mamma. «Aveva pianto tutto il giorno perché i bambini continuavano ad offenderlo, lo trattavano male. Non sto parlando di tutta la classe, le maestre hanno detto tre bambini. Mio figlio dice cinque. Il terzo giorno, lo hanno insultato ancora: a quel punto mio figlio non voleva togliersi nemmeno la felpa perché si vergognava del colore della sua pelle e non voleva essere insultato. Io avevo chiesto di parlare con i genitori di questi bambini, per farli smettere, perché altrimenti non avrebbe avuto più senso mandarlo al centro: doveva divertirsi, non soffrire».

Le maestre del centro, a quel punto, hanno contattato i genitori dei bambini coinvolti, ma senza grandi risultati: «Non è servito a nulla», continua la madre, «hanno continuato a prenderlo in giro e le maestre mi hanno detto che non potevano fare altro. Il quarto giorno, però, i ragazzini hanno passato il limite: non solo l’hanno riempito di insolenze, ma l’hanno toccato fisicamente tirandogli i capelli. A quel punto mio figlio mi ha chiesto di non farlo più andare al centro estivo: io avevo già pagato una settimana in più, ma non voleva proprio andare, così ho perso anche i soldi».

Le offese sarebbero state talmente pesanti da far stare male il piccolo: «Gli dicevano: sei un africano, sei nero e sei uno schiavo, immaginate come può aver reagito. Sono piccoli, non posso capire il perché di tutta questa cattiveria».

La donna, arrivata in Italia nel 2016 con il suo bambino, dopo un breve periodo a Roma si è trasferita nel Bellunese, dove oggi lavora per una attività: «I miei capi mi trattano benissimo, mi rispettano», continua la donna. «A Belluno sto bene, ho la mia vita, qui sono nati anche gli altri due figli. Io vengo dalla guerra, perché prima ho vissuto in Libia. Sono scappata dal conflitto bellico per dare un futuro migliore ai miei figli: sono venuta in Italia per farli studiare, per tenerli lontani dai conflitti, perché voglio che abbiano una vita normale».

«Qui le persone colpiscono con le parole», conclude la donna, «i bambini hanno il diritto di vivere una vita serena a prescindere dal colore della pelle. Io sono grande, so come andare avanti, lo faccio per loro. Quando mi offendono per le mie origini, cerco di farmelo scivolare per il loro bene. Quello che conta è il loro futuro».

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