Jihan K, racconto mio padre, simbolo contro Gheddafi

Nel docu 'My Father and Qaddafi', Libia ancora devastata'

(ANSA) - ROMA, 23 NOV - La Libia coloniale, quella di Gheddafi (caduto nel 2011 dopo oltre 40 anni di potere) e di oggi, traumi personali e collettivi, la ricerca, anche emotiva, di un padre scomparso improvvisamente oltre 30 anni prima. Sono fra le linee che si intrecciano e riflettono un presente affogato nei conflitti, in My father and Qaddafi, il documentario dell'autrice esordiente Jihan K, che dopo il debutto mondiale alla Mostra del cinema di Venezia sta girando i festival internazionali e viene presentato in Italia in una serie di anteprime. Il film non fiction, coprodotto da Valentina Castellani-Quinn (Quinn Studios Entertainment) ruota intorno alla storia del giurista e attivista Mansur Rashid Kikhia, che dopo essere stato, tra l'inizio anni '70 e il 1980, ministro degli Esteri libico e ambasciatore all'Onu per il rais, era uscito dal governo e diventato un leader pacifico e molto rispettato dell'opposizione. Nel 1993 scomparve dal suo hotel in Egitto e da allora se ne persero le tracce. La moglie, l'artista Baha Omary Kikhia, cittadina americana di origine siriana, madre di Jihan non smise mai di lottare per avere notizie e chiedere la liberazione del marito. Fino al ritrovamento del corpo nel 2012 nel frigorifero di una villa fuori Tripoli. Mansur era morto in prigionia (le circostanze rimangono un mistero) circa 10 anni prima. Jihan aveva sei anni e viveva con la sua famiglia in Francia, quando il padre fu rapito: "Vivo con questa sensazione surreale, ho intrappolato mio ;;padre nel mondo dei sogni - spiega all'ANSA la regista, che è cresciuta negli Usa dove la sua famiglia si è trasferita dopo la scomparsa di Mansur - . Questo da un lato mi ha aiutato nel realizzare il film, perché mi ha permesso di affrontarlo in modo giornalistico, con una mentalità aperta". A motivare Jihan è stato anche quanto è accaduto in Libia negli ultimi anni: "Nemmeno quattro settimane dopo la sepoltura di mio padre a Bengasi, la sua città natale, il governo di transizione è crollato e il Paese è precipitato nella guerra civile. La distruzione sta andando avanti, la Libia sta attraversando un trauma dopo l'altro. Mi sono resa conto che non volevo che mio padre, la sua memoria, sparisse una seconda volta. La prima ero solo una bambina e non potevo fare nulla, ma stavolta ho sentito di poter agire, attraverso il cinema". Così "ho collegato la necessità di evitare questa perdita a quella di un intero Paese, la Libia. Volevo andare a cercare la verità per entrambi". E' stato un viaggio nel quale "ho imparato che quando qualcuno viene dichiarato eroe, appartiene alla comunità. E per quanto sia bello avere un padre diventato un simbolo e un'ispirazione, io volevo scoprirne in tutto l'umanità, anche nella sua complessità". (ANSA).

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