Spade bellunesi in mostra. Perale: «Serve un museo»

BELLUNO. Miniere, carbone e acqua. Dagli elementi naturali forniti dalle Dolomiti maestri spadai come Andrea Ferrara hanno saputo ricavare lame che hanno fatto il giro del mondo. Di quest’arte - nella quale i bellunesi eccellevano - rimane una traccia nella produzione delle chiavi di Cibiana o nei chiodi della Val di Zoldo. «Facciamo ritornare le spade bellunesi sulle Dolomiti» suggerisce lo storico Marco Perale, «serve solo un museo».
La mostra. Alcune spade hanno già fatto ritorno a casa. Si tratta di un soggiorno solo temporaneo in occasione dell’evento Spade delle Dolomiti che in questo fine settimana ha portato a Belluno gli appassionati di lame e armi antiche. Un workshop dedicato alle arti marziali storiche del Rinascimento, un momento di confronto e riflessione al Teatro Comunale e una mostra teporanea allestita a palazzo Piloni sono alcuni degli appuntamenti all’interno di Spade delle Dolomiti.
Acqua e fuoco. È la valle dell’Ardo, con la sua roggia che correva parallela al torrente, a fornire l’acqua necessaria agli artigiani bellunesi. Nelle fucine del Busighel, una ventina quelle sparse lungo il corso d’acqua, venivano create lame note in tutto il mondo. La loro fama era talmente grande che ad Andrea Ferrara, all’epoca il più famoso degli spadari bellunesi, nel 1578 venne commissionata dagli inglesi una fornitura da 600 spade al mese per dieci anni. Una produzione da 72 mila spade che oggi sono sparse nei musei di mezzo mondo. Ma non sulle Dolomiti.
La fine di un’era. «Brescia e Belluno sono le due cittadine dove si sviluppa maggiormente la produzione di lame» spiega lo storico Marco Perale, «solo a che a Brescia questa tradizione è continuata anche dopo il 1525, anno della battaglia di Pavia in cui le armi da fuoco hanno un ruolo determinante. I bresciani si adattano a questa novità, Belluno non lo fa, anche a causa della mancata lungimiranza di Venezia». Proprio nel momento di massima produzione delle spade bellunesi la Serenissima requisisce e nazionalizza il bosco del Cansiglio, importante riserva di carbone, per utilizzarlo come “bosco da remi”. Alla fine del Cinquecento gli spadari bellunesi sono quindi costretti ad andarsene. «Per due secoli, dal 1400 al 1600, Belluno era stata un polo di attrazione incredibile» continua Perale.
Arte antica. Nel nuovo millennio le arti marziali d’epoca stanno vivendo una seconda giovinezza grazie alla curiosità di tanti appassionati. «Per anni abbiamo subito una sudditanza nei confronti dell’Oriente ma non è proprio così» spiega Roberto Gotti, collezionista ed esperto, «la nostra tecnica ha radici antiche che confluiscono in un ricchissimo Medio Evo, fucina che sviluppa idee nuove per arrivare nel Rinascimento, quando quest’arte viene condensata in volumi che contengono duemila anni di storia».
Identità da rianimare. «Con eventi come questi stiamo tentando di rianimare di questa identità» continua Perale, «la produzione di spade è stata un elemento economico importante per trecento anni in questa vallata, un po’ come accade per gli occhiali oggi». Ma un evento non basta. «Si può iniziare da un progetto a costo zero» continua lo storico, «il museo virtuale che raccolga le spade bellunesi sparse nei diversi paesi».
«Serve un museo». Una quarantina di spade bellunesi sono esposte anche all’Armeria di palazzo Ducale di Venezia. «Ma in realtà ne possiedono più di 200: in passato ho proposto che ce le prestassero per un’esposizione in comodato. La loro disponibilità, però, era legata all’esistenza di un museo. Ora c’è, questa deve diventare uno degli obiettivi della prossima amministrazione comunale».
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