Pezzei, Pelos, Polpet: nei toponimi dolomitici l’eco del rapporto con i boschi

Convegno internazionale sull’origine dei nomi di monti e paesi: l’iniziativa di Provincia e Fondazione Angelini con un focus sui ladini

Pda

Un convegno internazionale di toponomastica alpina. Lo stanno organizzando la Provincia di Belluno, insieme con la Fondazione Angelini, ente specializzato in tema di ricerche culturali del Bellunese, coinvolgendo però anche altre istituzioni culturali attive nel preservare il patrimonio linguistico insieme con il Museo etnografico e il Parco nazionale Dolomiti bellunesi.

L’evento, che si svolgerà il prossimo anno nella parte alta del territorio (forse Comelico), sarà finanziato dai 15 mila euro in arrivo direttamente dalla Regione all’interno del piano per la Promozione delle minoranze linguistiche presenti in Veneto. «Saranno due giorni di studio con i principali ricercatori universitari», sottolinea Simone Deola, consigliere provinciale con delega alla cultura, «sarà un’occasione per capire meglio l’origine dei nomi dei nostri paesi, ma anche delle nostre montagne collegando la loro etimologia a pezzi di storia e tradizioni che rischiano di essere dimenticati. Nel corso di questo evento il focus, come da progetto regionale, sarà sulla toponomastica di derivazione ladina».

E sono tanti i nomi di luoghi bellunesi significativi, non casuali che sono stati attribuiti dagli abitanti del corso della storia, e che spesso «derivano proprio dall’ambiente in cui sono inseriti o dalle attività economiche e agricole che vi venivano praticate», precisa Ester Cason Angelini della omonima Fondazione.

«A designare località oggi famose è il nome comune latino campus (dim. campitellus), che sta per “campo, spiazzo largo” adibito a piazza del mercato del bestiame: è il caso di Ciampàc’ (Laste di Rocca Pietore). Ora, nei luoghi cittadini indicati il bestiame è scomparso: chi se ne ricorderebbe più se non ci fossero i toponimi?», porta qualche esempio Cason Angelini che aggiunge: «In questi nomi riscontriamo un fenomeno tipico del ladino detto “palatalizzazione” (ossia la trasformazione di un suono duro in suono dolce, per cui ca diventa cia e la consonante finale c diventa c’) che contraddistingue molti toponimi dolomitici».

Un altro esempio di toponimo che cristallizza nel nome il paesaggio di una volta è rappresentato da Pelos di Cadore. Chi potrebbe pensare che il nome indichi una selva fatta di alberi? Altri nomi fanno riferimento a cave di pietra, fondamentali per costruire case e muretti a secco come Coi de Pèra, o monte Peralba a Santo Stefano che significa “pietra bianca” (petra alba), o ancora al tipo di vegetazione esistente un tempo come Polpet che significa bosco di pioppi o Pezzei che rinvia al bosco di abeti. E cosa dire del monte Serva che deriva dal latino “silva” che significa bosco selvaggio? Molte montagne si chiamano Pala o Pale come le Pale di San Lucano dalla grotta dove l’apostolo delle Dolomiti si era rifugiato nel V secolo. Gli oronimi «cioè i nomi dei monti, infatti, risalgono dal basso all’alto dato che agli abitanti non interessavano le crode oggi ambite dagli alpinisti, anzi le temevano perciò il monte Agnèr deve il suo nome al sottostante stallo per agnelli», spiega Ester Cason Angelini, «o i frequentatissimi Fedaia, Fedèra, Fedèr, Fodara derivano da (ovis)feta cioè la pecora che ha figliato più un suffisso collettivo per indicare “insieme di ovili”. ». 

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