L’alpinismo di poche parole dell’agordino Giorgio Ronchi all’ombra delle Cime d’Auta

Un volume di Bepi Pellegrinon ripercorre sessant’anni di imprese  Da ragazzo volle vincere l’Orientale che vedeva da Sachet di Vallada 
Gianni Santomaso

la recensione

Riservare un libro a uno che, come dichiararono i suoi compagni di cordata Roberto Sorgato e Giorgio Redaelli all’indomani della prima invernale della Su Alto in Civetta (20-23 febbraio 1962), durante l’arrampicata proferì appena tre parole al giorno, può essere un rischio e un merito.

Bepi Pellegrinon ha corso il primo e guadagnato il secondo pubblicando, con la collaborazione di Claudio Antonio Luchetta, “Alpinismo leggendario. Le imprese di Giorgio Ronchi”. Un libro (90 pagine e un bel corredo fotografico) che ha debuttato a Colmean, ai piedi della Cima d’Auta Orientale sulla quale esattamente 61 anni prima (era il primo agosto 1960) Giorgio, con il cugino Carlo Andrich (figlio di Giovanni), aprì la via nuova direttissima, che è anche una dedica di quattro figli a un padre di cui sono orgogliosi.

«È risaputo», scrive Pellegrinon, «che ogni alpinista ha una preferenza del cuore, una montagna prediletta, una cima che gli ha aperto i suoi segreti. Per Giorgio questa è la Cima dell’Auta Orientale. Potrà anche compiere scalate più impegnative, ci saranno anche altre avventure leggendarie, ma non potrà mai sostituire nel suo cuore la montagna degli inizi, della sua gioventù, ove si accorse che l’alpinismo anche per lui era una pratica possibile e necessaria. Una montagna che gli ha riempito la vita».

È la montagna che Giorgio Ronchi, classe 1937, vedeva dalla casa di Sachet di Vallada e che volle provare a vincere da giovanissimo insieme a Gianfranco Andrich. Avrebbe dovuto attendere ancora, come il lettore che attende di arrivare alle pagine dell’epica impresa della prima invernale della via Couzy alla Cima Ovest di Lavaredo con Roberto Sorgato (26 febbraio - primo marzo 1961). Pagine di un racconto collettivo che a distanza di 60 anni fanno trepidare ancora per Sorgato appeso a una corda nel vuoto e commuovere per la solidarietà che si mosse nell’ambiente alpinistico per portare i soccorsi. Sembra di vedere gli Scoiattoli di Cortina passarsi parola, sembra di sentirli ai piedi della roccia, loro e altri amici agordini e bellunesi, confrontarsi sulle iniziative da prendere.

È un libro su Giorgio Ronchi, accademico del Cai, Pelmo d’oro nel 2012, amministratore a Vallada, titolare di un’impresa termoidraulica, ma il protagonista non è mai da solo, nemmeno l’11 febbraio 1959 quando compie in solitaria l’invernale della Tissi alla Cima dell’Auta Orientale. Annotò infatti: “Salita di Giorgio Ronchi in compagnia di Ronchi Giorgio”.

In questo romanzo, lungo sessant’anni, non ci sono solo le imprese, i compagni di cordata ai quali si è legato (fra i tanti, oltre ad Andrich, Sorgato, Redaelli, ci sono Toni Serafini e Livio De Bernardin), ma anche chi stava giù: le sorelle Elisa e Albertina e la cugina Viviana che accompagnano lui e Umberto Costa in Val Ombretta per attaccare la sud della Marmolada; la “Ita dei Tus” e la zia “Ita dei Nait” che li attendono a mezzanotte inoltrata sui gradini del municipio di Vallada dove verranno portati dalla Chevrolet di Bruna Da Rif Perrier. C’è il prete che nella predica della “messa granda” esprime tutta la sua contrarietà ai cimenti alpinistici del giovane, ci sono i genitori che, dopo la morte sulle Cime d’Auta del fratello Emilio, riusciranno a farlo desistere da nuove imprese per dieci anni.

C’è la moglie Gabriella, silenziosa e presente, che un fine settimana è al mare e Giorgio, alle due di notte, non ha le chiavi per entrare in casa in centro a Falcade ed è quindi costretto a scalare il solaio. «Ho il diritto di entrare in casa mia con un passaggio di sesto grado», dirà ai carabinieri che lo avevano scambiato per un ladro. —



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