Jane e Robert, l’amore è tenerezza senza età

Il premio a Fonda e Redford e il loro “Our Souls at Night”
Nel crepuscolo radioso della loro vita, mano nella mano, ruga contro ruga, Jane Fonda e Robert Redford portano al festival la leggerezza della vecchiaia, la fortuna di esserci arrivati e la malinconia di non averla potuta evitare. A cinquant’anni da “A piedi nudi del parco”, nel quale avevano solo la possibilità di innamorarsi, ritornano insieme nel film di Netflix “Our Souls at Night” (Fuori Concorso) nel quale la medesima scelta, quando la pelle è ormai cascata, ha più coraggio dell’ardore della giovinezza.


Dev’essere questo il balsamo, così consolatorio per tutti, quello che i due attori spargono al Lido nel giorno della consegna dei Leoni d’oro alla carriera, entrambi vestiti di chiaro, lei in blusa di seta e pantalone bianco, lui in giacca e maglietta, lei di quella bellezza assoluta che il tempo e la chirurgia hanno sfiorato con mano gentile, lui galante e di splendido umore, entrambi protettivi l’uno nei confronti dell’altra perché colleghi, amici, ammiratori reciproci e amanti solo nella finzione cinematografica.


«Volevo assolutamente fare un altro film con Jane prima di morire, volevo avere un’altra chance con lei» spiega l’attore durante l’affollatissima conferenza stampa che subito si trasforma in un siparietto a due, travolgendo il regista Ritesh Batra. «Questo film ha coronato il nostro lavoro, abbiamo iniziato e finito insieme» dice l’attrice tamponandosi lievemente il naso con un fazzoletto «e poi Redford bacia benissimo». Ecco.


La vita, la morte e la sola cosa che rende accettabile la fine - la vecchiaia, appunto - rimbalzano tra di loro come nel film tratto dal romanzo di Kent Haruf ponendo sullo stesso piano la realtà e la recitazione. Lei ottant’anni a dicembre, due Premi Oscar, sei Golden Globe, quarantotto film, tre matrimoni, dalla tutina sexy di “Barbarella” al cammeo in “Youth” di Sorrentino, femminista, attivista, ribelle, ambientalista, («la cosa più importante è salvare il pianeta»), sacerdotessa dell’aerobica senza che tutto questo le abbia sciupato la pelle; lui ottantuno fatti ad agosto, due Premi Oscar, tre Golden Globe, due matrimoni, l’impegno per la natura, l’eternità raggiunta con “Il Grande Gatsby”, “La Stangata”, “I tre giorni del condor”, fondatore del Sundance Institute per giovani promesse del cinema.


Entrambi hanno seguito l’uno i passi dell’altra, saranno andati fuori a cena insieme infinite volte, si saranno consolati nei giorni dei rispettivi divorzi; fino a quando, tacendosi che il loro tempo non sarebbe stato infinito, l’uno si è specchiato nell’età dell’altra con la tenerezza delle nostalgie anticipate, come sul red carpet di ieri sera prima della cerimonia dei Leoni in Sala Grande, e come nel film.


In “Our Souls at Night” (distribuito in tutto il mondo nel 2017) Jane Fonda è la volitiva e sensibile Addie Moore che, out of the blue, propone al vicino di casa Louis Waters (Redford) di andare a dormire da lei, la notte. Entrambi vedovi, con i figli lontani e le giornate vuote, si ritrovano all’improvviso a godere gli scampoli di un amore tardivo, e per questo tanto inconcepibile quanto scandaloso. «L’argomento del film è che non è mai troppo tardi, e che se sei coraggioso, se fai quel salto di fede, puoi diventare quello che avresti voluto essere. Tutti hanno il diritto di avere questo tipo di sensualità, anche se non sono più giovani» spiega Jane Fonda. «Sì, volevamo fare un film per un pubblico più adulto, le storie d’amore avranno sempre vita» dice Redford. «Questo film riflette la nostra vera età».


Il film li restituisce così bene, raccontando il momento esatto in cui la vecchiaia inizia - e cioè quando i genitori incominciano a mentire ai figli e quando i figli prendono a sgridare i genitori - che si perde il filo tra vita e copione. Entrambi gli attori hanno trovato un nuovo amore da pochi anni e probabilmente conoscono l’imbarazzo che Addie e Louis provano nell’offrire la propria pelle alle carezze dell’altro. «L’amore con l’età aumenta» spiega Redford. «Jane, mi senti?». «Certo, non sono mica sorda» risponde l’attrice. «L’amore con l’età aumenta perché non abbiamo più nulla da perdere. È vero che non siamo più sode, e che ogni ruga equivale a un premio, ma si sta meglio con il proprio corpo, che non si ha più paura di chiedere. Sono felice che il cinema dia un nuovo volto, anche culturale, alla donna anziana».


Alla sera, la premiazione in Sala Grande: accolti dal presidente della Biennale Paolo Baratta e dal direttore della Mostra Alberto Barbera, lei una dea in abito di pizzo grigio e azzurro, le donne la acclamano, lui salutato dall’urlo dei fan. Niente autografi, solo l’emozione dei due Leoni d’oro alla carriera. Jane Fonda stringe il Leone e dice: «Un riconoscimento incredibile, mi sembra di essere all’inizio. A Venezia, una città che adoro». Per Redford: «Quando arrivi sulla cima della montagna, non sai più cosa d’altro c’è. Mi piace molto andare su. Non è semplice trovare una persona con cui lavorare in perfetta sintonia, come è accaduto a me con Jane».


Per loro, un’infinita standing ovation che li commuove, e le loro lacrime sono nella storia della Mostra di Venezia.


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