“Home”, gli attori raccontano la loro vita

Storie di tante emigrazioni per la nuova produzione di “SlowMachine”: tutto esaurito per la prima all’Hangar 11
BELLUNO. Il sostantivo “home”, in inglese, designa la casa nella sua dimensione più intima e allo stesso tempo più universale. Come dimora e focolare domestico, ma anche come tetto e asilo. Una ricchezza semantica che è alla base di Home, nuova produzione SlowMachine, che sabato sera ha inaugurato ufficialmente l’Hangar 11, registrando il tutto esaurito.


Così come nello spazio raccolto dell’ex caserma Piave si è aperto un bello spaccato di mondo, allo stesso modo, partendo da singole esperienze personali, si è intrecciato – attraverso un lavoro che mescola teatro e documentario, parola e movimento, video e animazione – un dialogo interculturale e multilingue.


Protagonisti di Home sono undici giovani performer (Rahimdad Allahdad, Anna Celda, Ousmane Dembelè, Lucky Diakpombere, Yuliya Gladka, Alpha Sow Mamadou, Osa’s Ogboe, Nicola Pauletti, Pia Salvatori, Seydoumou Simaga, Andy Ugwudike) di diverse nazionalità (Nigeria, Mali, Afghanistan, Cile, Spagna, Ucraina, Italia).


A loroi Rajeev Badhan (ideazione e regia), Elena Strada (aiuto regia) ed Emanuele Kabu (direttore e autore delle impattanti animazioni) hanno chiesto di essere loro stessi e di mettersi in gioco in prima persona, lasciando loro la libertà (e la responsabilità) di esprimersi attraverso un racconto, una canzone, una poesia.


Sono così emersi i frammenti di vita più diversi, da quelli più gioiosi (il ritmo di una canzone africana) a quelli più toccanti (ricordi di esilio, sbarchi e fughe dalla guerra). Tra i ragazzi c’è chi ha più da raccontare, chi meno; tutti però si portano dentro domande aperte sul senso del viaggio, dei luoghi e delle esperienze, e sull’incidenza che tali attraversamenti hanno sulla loro identità. Questo accomuna tutti, come sembra voler esprimere l’animazione che accoglie tutti i nomi in una sorta di murales, come ribatte la scena degli abbracci, e il finale che pare significare un guardare al futuro con fiducia.


Il risultato è un lavoro genuino, di spessore umano e artistico, in cui la forza dei performer (quasi tutti alla prima esperienza teatrale) è quella di porsi in modo naturale e autentico, semplice e diretto. Un’esplosione creativa guidata verso un preciso obiettivo artistico comune dalla sapiente direzione di Rajeev Badhan, Elena Strada ed Emanuele Kabu. Uno spettacolo che ha avuto nell’Hangar, luogo “riabitato” e strutturalmente votato all’attraversamento, la sua “casa” perfetta.


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