Gli uomini del tardo Neolitico rivivono a Selva di Cadore

SELVA DI CADORE. Si potrebbe pensare che a dare ieri mattina al sindaco Silvia Cestaro e all’assessore regionale Federico Caner la selce con cui tagliare il nastro ai nuovi spazi espositivi del museo “Vittorino Cazzetta” di Selva di Cadore sia stato direttamente l’uomo del Tardo Neolitico. Uno di quelli che stagionalmente frequentava il riparo Mandriz, il grande masso erratico di dolomia posto a circa 1600 metri sopra Santa Fosca, scoperto occasionalmente nel 1980 e che ha restituito testimonianze di frequentazione dei pastori tra il IV e il III millennio a.C.
È lui che ha idealmente chiesto al Comune di Selva di Cadore di raccontare la lunga storia degli uomini che, come ha detto l’architetto Marino Baldin, progettista degli allestimenti e curatore della sezione storica, si sono adattati e hanno adattato alle loro esigenze luoghi inospitali. Un invito che il Comune ha accolto, riprendendo il filo della storia da dove era stata interrotta, dalla morte di quel Valmo (così è stato chiamato l’uomo di Mondeval), oggetto della più importante sepoltura mesolitica dell’Europa centrale e meridionale i cui resti sono stati ritrovati nel 1987 da Vittorino Cazzetta e dall’Università di Ferrara con i professori Antonio Guerreschi e Federica Fontana, curatrice del museo - e hanno trovato collocazione al primo piano del museo. Lo stesso dove sono riprodotte le impronte di dinosauro del Pelmetto.
«Questa è la quarta amministrazione», ha detto il sindaco Cestaro «che si occupa della crescita di questo museo. Io sono orgogliosa di essere quella che, con l’allestimento del secondo piano, ha portato a compimento la sua realizzazione». Se con la selce i pastori di Mandriz hanno squarciato il velo che copriva quella storia, quelli tornati a Mondeval de Sora a distanza di alcune migliaia di anni raccontano attorno ai focolari, di cui è rimasta traccia, momenti della loro vita tra la fase finale dell’Età del Bronzo antico e la prima parte del Bronzo finale (2000-1000 a.C.). I Veneti antichi invece hanno deciso di iniziare a scriverla la storia, per esempio con le iscrizioni funerarie, nell’Età del Ferro, sulla stele rinvenuta nel 1866 alle falde del Monte Pore tra i comuni di Colle Santa Lucia e Livinallongo. I romani inviarono invece uno scalpellino, attorno al I secolo d.C., a iscrivere sulla roccia tra il monte Civetta e il Col de Davagnin, tra i 1700 e i 1900 metri, i segni del confine tra gli abitanti di Belluno (fra i quali anche gli agordini) e quelli del centro romano corrispondente all’attuale Zuglio Carnico in Friuli.
L’uomo altomedievale della Val Fiorentina ha fatto sapere poco di sé. Dal Duecento al Settecento, invece, attraverso le numerose pergamene (oltre 150 quelle conservate nell’archivio storico del Comune di Selva) ha offerto spunti interessanti per indagare oggi gli aspetti economico-sociali delle comunità locali di allora e per sfatare presunte verità tramandate nel tempo.
«Si è sempre sostenuto che la gente di Selva» ha spiegato Silvia Miscellaneo, curatrice di questa sezione «fosse dedita all’attività estrattiva. È vero per il ‘3-400, ma nel ‘5-600 la comunità ha invece avuto un ruolo specifico nel trasporto del minerale da Colle al forno di Borca. Era la comunità a firmare un contratto. Se è vero che contratti simili esistevano per il trasporto del sale, per il ferro quello di Selva rappresenta un unicum».
Documenti che al museo ora possono essere consultati attraverso un touch-screen. Per apprezzare in pieno il paesaggio antropizzato è invece necessario andarci di persona. Se l’uomo del passato è infatti entrato nel museo per raccontarsi, il museo vuole spingere quello di oggi a ritornare nei veri luoghi del racconto.
Gianni Santomaso
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