Georg Tappeiner e il cuore di pietra delle Dolomiti

Il famoso fotografo meranese conquistato dai monti Pallidi: "Come una botta in testa, li vedi e non puoi più dimenticarli"
georg tappeiner
georg tappeiner

BELLUNO. Ci sono paesaggi gentili, che ti “entrano dentro” e ti colpiscono un po’alla volta. E poi ci sono le Dolomiti: l’impatto che hanno sulle persone è immediato e molto forte. Il fotografo Georg Tappeiner usa un’immagine chiara per descriverle: «Sono come una botta in testa», dice, «e quando le vedi non puoi più dimenticarle».



Tappeiner, nato a Merano nel 1964, ha coltivato sin da giovanissimo la passione per la fotografia. I suoi soggetti preferiti sono sempre stati paesaggio e ritratto. E, ovviamente, le montagne: dal 2005 esplora quelle di casa, le Dolomiti, per catturare la magia dello spettacolo naturale che offrono. La sua bravura non è passata inosservata, tanto che i suoi scatti sono stati pubblicati su un gran numero di riviste e siti on line, tra cui l’edizione italiana di “Geo” e quella tedesca di “National Geographic”.

Ci può raccontare, in particolare, come è nata la collaborazione con “National Geographic”?

«Ho lavorato per anni a Londra e a Milano e ho poi deciso di tornare alle mie origini, tra le montagne, che ho sempre amato fotografare, girando soprattutto tra le Dolomiti. Una decina di anni fa avevo in mano una cinquantina di fotografie e, prendendo l’indirizzo mail del caporedattore dalla rivista, ho deciso di mandarle a “National Geographic”. Ad essere sincero non mi aspettavo di ricevere risposta. E invece, con tanta sorpresa, mi è arrivata appena dopo mezz’ora una telefonata: i miei scatti erano piaciuti e, insieme a questi, volevano una storia. Anche perché era il periodo, tra 2008 e 2009, in cui il World Heritage Commitee dell’Unesco stava conducendo l’istruttoria per decidere se accogliere le Dolomiti nell’elenco del Patrimonio dell’Umanità. Un riconoscimento, come ben sappiamo, poi avvenuto. Nel febbraio 2010 le mie foto hanno conquistato la copertina e 17 doppie pagine nell’edizione tedesca di “National Geographic”. È stato il numero più venduto in Germania. Gli scatti sono stati poi utilizzati in varie edizioni locali, arrivando in Italia, Slovenia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Messico, America Latina, India».


Poi è nata la mostra “Dolomiti: il cuore di pietra del mondo”, che ha fatto un viaggio in diverse città europee.

«Con la collaborazione anche della Fondazione Dolomiti Unesco ho esposto a maggio 2017 alla Galerie Novomestské radnice di Praga. Nel giugno 2016 le foto erano approdate al Museo di archeologia di Zagabria. E da qualche giorno, fino al 29 ottobre, sono a Belluno, a Palazzo Fulcis, dove ho potuto contare su un’organizzazione difficilmente trovabile altrove».

Come definirebbe il suo approccio alla fotografia? E come lo applica alla sua passione per il paesaggio e la montagna?

«La fotografia, per me, è una passione. E credo con questo termine racchiuda tutto, anche la soddisfazione che mi dà prendere in mano la mia Hasseblad e cercare di scorgere particolari inediti. La fotografia è la mia vita. Ed è anche la mia professione. Ritengo comunque che si debba ritagliare un po’di tempo per se stessi, trovando dei momenti in cui scattare foto per il proprio piacere personale, al di là del lavoro. Per quanto riguarda la montagna, solitamente la salgo a piedi, anche se sono un po’ pigro. Quando riesco a raggiungere dei traguardi inaspettati sono molto soddisfatto. Utilizzo anche l’elicottero, per immagini aeree e riprese originali e inconsuete. Ultimamente sto usando anche i droni, ma soltanto a livello sperimentale».

Fotografia, Georg Tappeiner e il cuore di pietra delle Dolomiti


I suoi scatti riescono a cogliere la forza arcaica delle montagne e, nello stesso tempo, la loro poesia...

«La prima impressione che si può avere è che la montagna sia sempre uguale, immutabile. Se si ha invece la pazienza di aspettare, di trovare momento e posto giusti, ci si accorge, invece, che cambia in continuazione. Per cogliere i mutamenti la preparazione, naturalmente, aiuta. E più sei preparato, più anche sei fortunato nel riuscire a captare qualcosa di inedito, fugace, sorprendente. In ogni scatto metto la mia anima e l’obiettivo è raggiunto nel momento in cui una foto genera emozioni e “vive” da sola, al di là di chi l’ha realizzata. Pensando in particolare alle Dolomiti, fotografarle è un vero e proprio viaggio nel tempo e nello spazio. La loro sublime bellezza regala sempre emozioni che valgono più di mille parole».

Tappeiner, il suo lavoro dice anche molto sulla necessità di conservare le montagne: un tema attualissimo, specie in un periodo in cui si parla di consumo e poco rispetto.

«Verissimo. Pensiamo anche che il lavoro della “National Geographic Society” si fonda sulla necessità di “ispirare le persone ad aver cura del pianeta».



Questo vale anche per le montagne e le Dolomiti. In quest’ultimo caso, il riconoscimento dell’Unesco è una grandissima opportunità, qualcosa di straordinario. Dall’altro lato, però, ci si è trovati di fronte a una frequentazione più elevata e non sempre rispettosa.

«Bisogna trovare un equilibrio tra questi due aspetti: se c’è un maggior numero di persone ci vogliono anche regole più rigide, senza però andare a compromettere la libertà di chi la montagna l’ha sempre vissuta e amata. Rispettandola. Perché chi ama veramente questi luoghi li tratta con riverenza, consapevole della straordinarietà che si trova davanti. E non lascia rifiuti e immondizie: solo un esempio della mancanza di rispetto. Il guaio è che poche persone che adottano comportamenti scorretti lasciano un impatto enorme».

Lei ha viaggiato molto, come si può immaginare: ci sono luoghi che le sono rimasti più impressi di altri?

«Sì, viaggio parecchio. Ogni luogo ha la propria particolarità. Ci sono posti che ti colpiscono lentamente, un po’ alla volta. Altri che hanno un impatto fortissimo, come le Dolomiti: ti entrano in testa e non escono più. Amo molto anche l’entroterra della Puglia o le Isole Eolie. All’estero mi sono rimasti nel cuore i paesaggi dell’Andalusia, ma anche la Scozia e un paese più lontano, l’India, una terra molto vasta e con un impatto, all’inizio, più culturale che visuale, ma che poi rivela qualcosa che non ti aspetti, anche dal punto di vista paesaggistico».

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