Concetto Vecchio racconta il referendum anti italiani nella Svizzera del 1970

C’è il feltrino Angelo Slongo, costretto a vivere ammassato in una baracca disumana di Zurigo, e c’è l’omicidio a sfondo xenofobo dell’ampezzano Alfredo Zardini. Ma soprattutto ci sono parole identiche a quelle che alimentano il fuoco dell’intolleranza nell’Italia di oggi, un Paese che dimentica in fretta. Concetto Vecchio, invece, non vuole perdere la memoria, perché nella storia che racconta c’è la vita dei suoi genitori, la tristezza dell’emigrazione, la fatica del lavoro duro, la frustrazione di sentirsi esclusi. Nel suo “Cacciateli, quando i migranti eravamo noi” (Feltrinelli), Concetto Vecchio, giornalista di Repubblica, non scava in un passato remoto: gli basta il salto di una generazione per proiettare il lettore in un’altra dimensione storica e sociale.
È quella degli emigranti italiani in Svizzera, dove, per sostenere la crescita industriale, dalla fine degli anni ’50 arrivarono centinaia di migliaia di lavoratori stranieri: oltre un milione, su una popolazione di 5,2 milioni e tra questi circa 700 mila erano italiani. Tra loro c’erano anche i genitori del giornalista e scrittore nato nel 1970, l’anno del referendum contro i lavoratori stranieri.
L’autore introduce quel voto raccontando le condizioni dei lavoratori italiani in Svizzera negli anni ’60, le regole che vietavano loro di portare con sé la famiglia e di avere una casa dignitosa. Fantasmi che potevano solo lavorare senza pretendere servizi, trasporti, scuole, assistenza sanitaria. In quegli anni la Svizzera aveva assoluta necessità dei migranti, ma non concedeva loro opportunità di integrazione. Le pagine di “Cacciateli! ” offrono uno spaccato esauriente di come erano considerati gli italiani. Donnaioli pronti ad importunare qualsiasi giovane fanciulla, attaccabrighe, rumorosi, fastidiosi nel loro gesticolare o nelle tradizioni culinarie. Mangiaspaghetti accusati di portar via il lavoro agli svizzeri, di abbassare il prezzo dei salari e di alterare i valori e i principi della comunità elvetica.
Il déjà vu è completo quando l’estrema destra, fino a quel momento assente dal Parlamento, irrompe nel dibattito politico conquistando un seggio al grido di “prima gli svizzeri” e “la Svizzera agli svizzeri”. Quel seggio va a un personaggio quanto mai letterario, cadetto ribelle e ben poco considerato di una potentissima famiglia industriale, un uomo che ama la letteratura e l’Italia, ma che scopre nell’odio verso gli italiani lo strumento per diventare famoso ed ergersi a capopopolo, trovando così il suo riscatto dalle botte del padre. James Schwarzenbach riesce nell’impresa: raccoglie le firme necessarie e ottiene che la Svizzera si esprima attraverso un referendum che chiede di porre un tetto alla presenza di lavoratori stranieri.
La campagna elettorale è un susseguirsi di slogan xenofobi, ritorsioni e violenze contro gli italiani, ma l’industria elvetica ha bisogno dei lavoratori stranieri e dimostra di avere gli anticorpi del razzismo. Il referendum fallisce, anche se di poco, e il padre di Concetto Vecchio può finire di costruire la culla per il figlio che sta arrivando. —
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi