Belluno nascosta, l’Ardo racconta un viaggio nel tempo tra ferro e fuoco

La storia rivive nelle officine Orzes, in via San Francesco. L’antico laboratorio fabbrile ristrutturato con fondi europei

Belluno nascosta: Le officine dei fabbri lungo il torrente Ardo

Belluno nascosta, viaggio nei segreti della città splendente
apertura della torre civica di Belluno

BELLUNO. Sembra quasi di sentire il clangore del ferro, l’ansimare del mantice, il rumore dell’acqua che corre e che dà linfa all’officina. In via San Francesco c’è un luogo dove il tempo si è fermato: sono le officine Orzes, una stanza nascosta ma ricca di storia, capace di portare indietro le pagine del calendario, fino ad un tempo in cui Belluno era acqua e fuoco. L’acqua, quella impetuosa dell’Ardo e quella potente del suo fratello maggiore, il Piave. Il fuoco dei fabbri che, tra Fisterre e Borgo Pra, forgiavano il metallo e producevano le spade bellunesi famose in tutto il mondo fino ad allora conosciuto.

Abbiamo visitato questi luoghi per voi, per portarvi alla scoperta - o alla riscoperta - dei luoghi nascosti della “città splendente”. Un viaggio tra chiese e opifici, senza dimenticare i segreti nascosti nei luoghi che frequentiamo tutti i giorni. Iniziamo il tour della “Belluno nascosta” con le officine Orzes. Siamo in via San Francesco, a pochi passi dal ponte degli Alpini.

Qui scorre il torrente Ardo, un corso d’acqua che nasce sulla Schiara e sfocia nel Piave. Le risorse idriche sono fondamentali per lo sviluppo di Belluno, anche se per immaginare com’erano bisogna usare la fantasia. Il tempo e l’uomo hanno infatti cambiato notevolmente il paesaggio e la forma che oggi ha l’Ardo, un piccolo e vivace torrente, non rende giustizia al suo passato. Mentre il Piave, una vera e propria “autostrada” d’acqua, veniva usato per il trasporto di materiali, l’Ardo dava forza ad una serie di officine che costituivano il “core business” dell’economia bellunese tra Medioevo e Rinascimento: mulini, magli, fucine, segherie, folli.

Alla fantasia viene in aiuto, questa volta, l’opera di recupero di un’antica manifattura fabbrile: si tratta delle officine Orzes, dal nome della famiglia che deteneva l’immobile fino ad una trentina di anni fa. La struttura, che si trova al piano terra di un immobile in via San Francesco, civico 31, è stata sistemata dall’Unione Montana e dall’Ater con i fondi europei e dal 2014 è aperta a chi vuole curiosare tra “ferri vecchi”. L’interno, infatti, non è stato toccato e ospita tutti gli attrezzi del mestiere. Unico estraneo, un vecchio mantice recuperato in un mercatino delle pulci grazie alla buona volontà di un gruppo di persone capitanate da Silvano “Orso Grigio” Serafini.

È lui ad aprirci le porte delle officine Orzes e a spiegarci i suoi segreti. Un complesso sistema di cinghie collega i macchinari ad una ruota (recentemente ristrutturata) fissata all’esterno della struttura. La ruota pescava l’acqua dell’Ardo grazie ad una derivazione che i fabbri potevano aprire e chiudere a seconda delle necessità. La roggia procedeva poi parallelamente al torrente fino al Piave passando per borgo Pra.

Fuori l’acqua, dentro il fuoco. La stanza, un ambiente unico, annerito dal tempo e dalla fuliggine, con travi in legno e arnesi a vista, ospita un grande camino dove i fabbri forgiavano il ferro. Ed ancora aria, quella del mantice. «Una volta lo facevano funzionare i ragazzi di bottega» spiega Orso Grigio, «quello che abbiamo portato nelle officine è stato trovato in un mercatino delle pulci e rende bene l’idea di cosa significava lavorare con questi attrezzi». Incudine, martello e tenaglie: decine e decine di utensili fanno bella mostra di sé sulle pareti del laboratorio. Alle officine Orzes anche le mole, usate per affilare e smussare, hanno una storia. Arrivano infatti da Tisoi, dove nei secoli passati si era sviluppata una fiorente attività di estrazione e lavorazione di materiali usati per ricavarne mole. «Questa pietra non si scalda e non perde tempra» assicura Orso Grigio.

Un piccolo tesoro, quello custodito alle officine Orzes, composto da una miriade di utensili che aspettano solo di lasciare qualche bambino (e, perché no, qualche adulto) a bocca aperta.

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