Zamuner racconta l’incredibile recupero

«Abbiamo risalito la corrente del Piave per cercare la statua, era piena di fango e senza le mani»

LONGARONE. «È stato il destino: la mia barca si è incagliata su un albero sommerso, e proprio tra quei rami si era fermata la statua. Fosse stata dieci metri più in là non l’avrei vista». Valter Zamuner è un uomo schietto e pratico: dei suoi 73 anni, 60 li ha passati lungo il Piave ad estrarre ghiaia e a gestire il suo ponte di barche sul fiume a Fossalta. Ieri è stata un po’ anche la sua festa. Al termine della cerimonia, la gente di Fossalta è stata accolta nei padiglioni della Longarone Fiere, dove una quarantina di volontari aveva preparato il pranzo per tutti. A loro si sono aggiunti molti longaronesi, per una festa di ricordi e condivisione che ha coinvolto un migliaio di persone.

Zamuner racconta con la voce e lo sguardo, e con quelle mani dure di chi ha sempre lavorato: «Il mio mestiere è sempre stato sul fiume, dentro e fuori dall’acqua. Quella mattina la piena era carica di detriti, era pericoloso e proibito tuffarsi. Ma lo avevo sempre fatto: sapevo cosa fare. Già alle prime luci ero andato all’impianto a Ponte di Piave, per togliere dal fiume in piena i nastri trasportatori, allora ho visto la statua galleggiare sul pelo dell’acqua che scorreva lenta. Ho avuto il tempo di tornare a casa, raccontare cos’avevo visto alla famiglia, prendere la macchina e scendere fino a San Donà, dove avevamo una barca, e poi risalire la corrente per cercare quella statua. Con me c’erano mio cugino e un operaio. Siamo andati avanti finché l’elica della barca non si è incagliata sui rami di un albero sommerso. E proprio lì c’era la Madonna. L’ho afferrata e trascinata sulla barca: era sporca di fango, sfregiata in volto ed aveva perso le mani. Intanto sulla sponda alcuni carabinieri mi urlavano di allontanarmi, che era pericoloso. Ma ho sempre lavorato sul fiume, conosco le sue piene. Così mi sono tuffato per liberare la barca: facendo forza sul tronco con i piedi e sullo scafo con le mani ho disincagliato l’elica, e così siamo ripartiti verso riva, mentre i carabinieri ci seguivano lungo la strada. Ad attenderci a riva c’era una piccola folla: volevano portare la statua nella chiesa di San Donà, ma io volevo portarla a Fossalta. Mio cugino ha messo in moto l’auto, e io ci sono saltato dentro con la statua in braccio. Siamo arrivati alla chiesa di Fossalta, e lì è rimasta fino al maggio del ’64. Per tutti quei mesi è stata vegliata dalla gente, che andava a pregare di fronte a lei: la chiesa era sempre piena. Da allora la gente di Fossalta non l’ha mai dimenticata». (mi.gi)

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi