Vajont, un pezzo di lavatoio spunta in un bosco
Durante un’escursione un giovane del luogo ha trovato alcune testimonianze della tragedia del 9 ottobre 1963: tra queste anche una bici e un motorino

ERTO CASSO
Un pezzo di un antichissimo lavatoio in marmo locale, la carcassa di una bicicletta e quel che resta di un motorino: a distanza di quasi 57 anni dal disastro del Vajont, il bosco ha restituito dei frammenti della storia di Erto precedente alla terribile onda. Durante un’escursione, un giovane del luogo, Simone Bernarda ha notato in mezzo alla vegetazione un angolo di pietra lavorata. È bastato ripulire l’area da detriti e fogliame per riportare alla luce ciò che rimane della fontana di San Martino.

La mamma del giovane Osvalda Pezzin è la memoria storica dell’omonima frazione, posta proprio sopra il pendio dove sono stati rinvenuti i reperti. Pezzin ha subito riconosciuto l’origine di quella lastra coperta di muschio e terra: si tratta di una porzione del lavatoio che sorgeva di fronte alla chiesa di San Martino. Proprio in queste ore si stanno concludendo i lavori di ricostruzione dell’edificio sacro. La donna ritiene di sapere anche a chi appartenesse il motorino in quanto negli anni Sessanta non erano in molti a possederne uno simile. A quel punto Simone ha chiesto aiuto al fratello Massimo, noto ristoratore.

I due sono scesi di nuovo in direzione del lago e con non poca difficoltà hanno issato i materiali fino al sentiero. Qui il tutto è stato caricato su un trattore agricolo e portato dalla madre che ora si appella a Comune e biblioteca civica per una valorizzazione dei reperti. «Sarebbe bello se la fontana tornasse idealmente dove si trovava fino a quella maledetta notte», ha scritto l’interessata su Facebook, ricevendo subito condivisioni e plausi per l’iniziativa. Osvalda Pezzin ha pure rievocato le vicissitudini del “gorg” e dei suoi gemelli sparsi per tutta la vallata. «I nostri uomini salivano sul monte Porgeit con delle slitte di legno da un quintale ciascuna», ha raccontato l’anziana, «poi calavano lentamente questi macigni di roccia, simile al marmo rosso della limitrofa cava di Buscada. Usavano catene e corde per impedire al carico di prendere velocità lungo la mulattiera a strapiombo. Mi fa uno strano effetto toccare con mano un ricordo della mia gioventù che credevo perduto per sempre».
E ora scatta l’ipotesi di effettuare delle ricerche più approfondite e mirate. Molto probabilmente le carcasse dei due veicoli e la lastra sono rimaste semisepolte dai sassi per lunghi decenni. Nel tempo le violente precipitazioni atmosferiche hanno smosso il versante scosceso, riportando in superficie le suppellettili. La posizione appartata del sito e la sua lontananza dai percorsi turistici hanno fatto il resto.
Qualche anno fa è stata una perturbazione autunnale ad ingrossare il Piave e a far riemergere dai fondali ghiaiosi un’autovettura. Gli occupanti del mezzo, i cui corpi non vennero mai recuperati, erano stati sorpresi dall’evento mentre cercavano di mettersi in salvo dalla periferia di Longarone. —
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi
Leggi anche
Video