Vajont: «Quella sera annunciarono la frana»

Grandi verità sulla tragedia alla presentazione del libro di Luigi Rivis. Tanto pubblico, tante reazioni

LONGARONE. Grande pubblico, con molte persone rimaste in piedi in sala Popoli d'Europa, per la presentazione del libro «La storia idraulica del Grande Vajont» di Luigi Rivis.

Una riedizione con contenuti aggiuntivi di «Vajont 1963» del 2010 dello stesso Rivis, che all'epoca della tragedia era il vice responsabile della centrale elettrica di Soverzene, anche questo stampato grazie al contributo di Aics Belluno. Il testo è diviso in due parti: una tecnica, con descrizione della progettazione impianti, di Sade e poi all'Enel, dal 1940 al 1962 (nel 1957 ci fu la dicitura “Grande Vajont”), mentre una seconda è dedicata alle esperienze personali, con la descrizione della fatidica notte e il ricordo dei 64 addetti ai lavori periti sul campo, al servizio dell'Enel e dell'impresa di costruzione Monti.

«È un nuovo tassello nel quadro della storia del Vajont» dice il sindaco Roberto Padrin «con una visione più tecnica. In questa nuova versione ci sono le integrazioni documentarie con gli scritti di Claudio Datei, Edoardo Semenza e Maurizio Reberschak , l'approfondimento sulla frana anche sulla sua messa in sicurezza successiva, foto inedite e la breve storia della chiesa vicino alla diga. La dedica ai 64 morti che operavano nell'impianto è un messaggio forte per le giovani generazioni di costruttori e tecnici.» «Noi sapevamo le cose di rimando» ha raccontato Rivis «per quanto ci dicevano i vertici non eravamo preoccupati di cosa potesse accadere. Avevamo in mano i rubinetti per il controllo del livello dell'acqua. Quel 9 ottobre il capo disse a me al mio collega: uno di voi resterà qui a Soverzene, l'altro viene con me alla diga perché ci sarà una frana e dobbiamo aprire le paratoie. Io sarei andato volentieri ma il giorno dopo avevo una lezione da svolgere a Belluno e così mi salvai. Non fecero mai in tempo ad aprire le paratoie.»

Presenti alcuni membri dell'associazione Tina Merlin, lo scrittore genovese Giorgio Temporelli, autore di un'altra pubblicazione sul Vajont e diversi superstiti che hanno avuto dure parole sulle responsabilità dei vertici dell'Enel.

«C'è stata tanta superficialità» dice Italo Filippin « perché, se si sapeva da tre anni che ci sarebbe stata la frana, non si è evacuato prima invece di mandare l'ordine la mattina del 9 ottobre? Alcune case erano a solo pochi metri dal lago e sul luogo ci vivevamo 50 famiglie. L'Enel ha ricostruito il suo ponte Tubo mentre ad Erto e Longarone c'erano solo macerie.» «Stasera ci viene detto che i tecnici avevano previsto tutto» dicono Ferruccio Vendramini e Bepi Vazza «allora perché non ci è mai posti il problema? Bastava poco per avvisare la gente e metterla in salvo ma per l'Enel i nostri morti non valevano nulla.» «C'erano in zona» dice Elvio Bez «dei militari americani, spostati in fretta tre giorni prima del disastro. Qualcuno allora sapeva.»

Dopo quasi 50 anni il Vajont è una ferita ancora aperta con molte domande rimaste a cui dare risposta. (e.d.c.)

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi