Una vita tra stalla e falegnameria «Così faceva nonno Massimo»

IL PERSONAGGIO
Una volpe attraversa poco prima del bivio per Caviola, un furgone passa subito dopo, un piccolo capriolo salta il guard-rail di neve che delimita la strada di fronte all’Istituto alberghiero di Falcade. Alle 4.30 in giro non c’è nessun altro. Nicola Tabiadon aspetta davanti casa sua nei pressi dell’hotel Miramonti. «Vieni sul furgone con me», dice, «perché poi la strada è un po’ brutta».
Saranno duecento metri per arrivare alla sua stalla poco sotto il villaggio de Le Coste, ma sono ripidi e ancora coperti di neve, perché lì il sole arriva di rado nel corso della giornata. Quella del ventunenne Nicola inizia sempre così. «Mi alzo alle 4.15 e parto», racconta, «colazione la faccio attorno alle 7 quando torno a casa, prima di andare in falegnameria con mio padre e mio fratello».
Nonno Massimo Tabiadon invece non c’è più, ma nei discorsi di Nicola è sempre presente. «Massimo è lì», dice Nicola, indicando l’immagine presente dappertutto, «controlla sempre, lui». Sia il lavoro in falegnameria cui ha dato vita nel 1964, sia quello nella stalla che, assieme alla moglie Lucia, lo ha visto protagonista per tanti anni fino al 2011. «Quando hanno smesso», spiega Nicola, «io ero a scuola e non potevo prendere in mano l’attività, ma sapevano che prima o poi lo avrei fatto».
Oggi sarebbero orgogliosi nel vedere il nipote che arriva alla casera quando fuori ci sono dieci gradi sotto zero, accende il fuoco per scaldare l’acqua che due ore dopo servirà per pulire la mungitrice, si mette la tuta e gli stivali e apre la porta della stalla. «La prima operazione da fare», dice con la pala in mano, «è “parà fora de stala” , cioè raccogliere e portare all’esterno il letame che queste tre mucche hanno prodotto da ieri sera».
Loro, le tre pezzate rosse, si chiamano Edel, Sissy e Solde. «Edel come Edelweiss, stella alpina, Sissy come la principessa e Solde perché era il nome di una mucca di mio nonno. Le ho comprate due anni fa con i risparmi del lavoro in falegnameria che ho intrapreso dopo il liceo artistico (indirizzo design) di Pozza di Fassa. Ora devo dare loro uno spuntino».
Con un bastone che termina con una forcella prende il fieno accumulato la sera prima e lo deposita nella “carpìa” , la mangiatoia. Intanto questo, nonostante si sia un po’ inumidito e «abbia preso il sapore della stalla» . Più tardi salirà nel fienile e, attraverso la botola, farà precipitare in stalla “quello buono” estratto la sera prima dalle “balle” e lo aggiungerà nella carpìa, monitorando divertito il comportamento delle sue mucche. «Si portano via il fieno tra loro perché l’erba del vicino è sempre più buona», scherza. «Solde, inoltre, tende a cercare quello dal mucchio a lato anche se davanti al muso ne ha ancora».
Il nonno gli ha insegnato che bisogna mescolare il fieno con l’“adòrc” , cioè il secondo taglio che è migliore perché più proteico. «Se li dividi», dice Nicola, «le mucche ti lasciano lì il fieno e aspettano l’adòrc. Ma così non va bene».
Fieno e adòrc sono parte degli ottanta quintali raccolti durante l’estate (a cui ne dovranno essere aggiunti degli altri acquistati al Mas di Sedico) quando Edel, Sissy e Solde sono al pascolo a malga San Pellegrino. Nicola ride con gli occhi puliti del ragazzo buono: «Ogni tanto bisogna andare a trovarle sennò si offendono. Nel frattempo, con mio papà e mio fratello che mi aiutano, falciamo i prati, alcuni di proprietà, altri che ci sono stati concessi da privati. Anche il Comune di Falcade, con l’assessore all’agricoltura Zampieri, mi ha proposto dei prati comunali perché preferiscono che a falciarli sia un allevatore che poi dà il fieno alle mucche, piuttosto che l’Unione montana che lo macina e lo butta via».
Il senso che Nicola e gli altri allevatori della zona danno allo sfalcio è quello ereditato dalle generazioni dei loro nonni: un anello della filiera che porta alla produzione del latte e dei suoi derivati. Così attorno alle 5.20 nella stalla inizia la mungitura, preceduta da un’attenta pulizia delle mammelle inevitabilmente sporche di letame. «Per prima», spiega Nicola, «devo mungere Sissy perché, quando sente che accendo la mungitrice nella casera, inizia a perdere il latte». Dopo tocca a Edel e a Solde. Alla fine posa sui loro capezzoli una pellicola protettiva per evitare che i batteri provochino malattie. «Sissy fa 30 litri al giorno», ricorda Nicola, «Edel 25 e Solde 20».
Prende il latte dalla mungitrice e lo versa filtrandolo nei “vas dal lat”. Una volta a casa lo unirà a quello del giorno precedente nella vasca di refrigerazione da dove gli addetti della Cooperativa Agordino Latteria di vallata vengono a prelevarlo a giorni alterni.
Sono le sette meno un quarto. Nicola oggi l’ha fatta un po’ più lunga perché si è perso in chiacchiere. Chiude casera e stalla e scendiamo a valle. Tornerà su a Le Coste, come ogni giorno da settembre a giugno, dopo pranzo per controllare e alle 17.30 per la seconda mungitura. Intanto però lo attendono in falegnameria. —
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