«Una lettera che mi ferisce: Riccardo era una parte di me»

Franco Miotto
Franco Miotto
Pareti del cielo, il libro dell'alpinista Franco Miotto pubblicato alla fine della scorsa estate da Nuovi Sentieri, sta suscitando in questi giorni un acceso dibattito sulla stampa. Nei giorni scorsi è stata pubblicata una lettera a firma di Adriano Bee, fratello di Riccardo, l'alpinista con cui Miotto ha fatto molte scalate. «La lettera di Adriano Bee sul Corriere delle Alpi è stata per me un colpo inatteso», spiega Miotto. «Mai mi sarei aspettato un simile trattamento dal fratello di Riccardo Bee, il mio primo compagno di cordata che per ben 7 anni ho accompagnato sulle nostre montagne: considerata la differenza d'età tra noi due, mi sono comportato con tutto l'amore e il senso di responsabilità che si potrebbero richiedere a un padre o un fratello maggiore. In questi sette anni di alpinismo estremo Riccardo non si è ferito neanche ad un dito e non è mai stato sottoposto a rischi di sorta, poiché quasi tutte le volte il ruolo di capocordata è stato svolto dal sottoscritto».
 Mantiene tuttora opinioni critiche nei confronti dell'alpinismo solitario?
 «Nella lettera di Adriano Bee è stata purtroppo omessa la necessaria conclusione. Il mio scritto originale recita così: "Personalmente, sebbene ne avessi tutte le capacità, non ho mai voluto praticare l'alpinismo solitario, che ho sempre giudicato una forma arrogante di presuntuosa ambizione: essa è inequivocabilmente il bagaglio culturale di una persona che denota immaturità e complessi. Mi riesce difficile credere che l'avventura solitaria su una parete sia intrapresa per il piacere della solitudine o la riservatezza di tenersi le cose per sé, quando poi ogni cosa finisce invece per essere pubblicata a titoli cubitali su giornali quotidiani e riviste specializzate"».
 Che ricordo serba di Riccardo Bee, dopo tanti anni?
 «Riccardo purtroppo è morto sulla parete nord del monte Agnèr il 26 dicembre 1982 durante un'impossibile ascensione solitaria invernale su una muraglia coperta di ghiaccio: fu spinto a quest'impresa da persone irresponsabili, e morì già il primo giorno di arrampicata, cadendo da un'altezza di sessanta metri. Per ben cinque giorni il suo corpo è rimasto abbandonato sul nevaio sottostante, senza che alcuno lo abbia seguito dal fondovalle in questa sciagurata avventura. Forse Adriano Bee non ricorda, ma la vigilia dell'ultimo giorno di quell'anno suo fratello Gianni mi chiamò al telefono per chiedermi notizie di Riccardo: affermò durante la comunicazione che alcuni amici lo stavano aspettando al rifugio Scarpa, dove si erano dati appuntamento, ed erano preoccupati perché non lo avevano visto arrivare. Appresi soltanto allora che il mio ex compagno di cordata si era avventurato per ripetere da solo la via Messner. Il giorno seguente, mentre tornavo da Cortina, un amico mi informò della sua morte. Rimasi impietrito: una parte della mia vita se n'era andata con lui. Come già scritto nel mio libro, se lo avessimo saputo Piero Rossi ed io non lo avremmo lasciato solo! Riccardo invece è stato abbandonato senza alcuna possibilità di aiuto, mentre una presenza amica avrebbe potuto essere preziosa per lui, nel caso di un incidente lieve e non mortale su una parete così repulsiva».

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