Un caseificio per dare futuro agli agricoltori agordini

AGORDO
Roberto Chissalè non è soltanto il sindaco di Agordo, ma anche il presidente della Cooperativa Agordino latteria di vallata, nata nel 1986 per tutelare il patrimonio lattiero-caseario fatto di tradizione, tecniche, prodotti e qualità. Un doppio ruolo strategico per assolvere al compito di “custode del territorio” e raccontare l’importanza dell’agricoltura come fattore trainante dell’economia e del turismo agordino e bellunese.
Da quanto tempo è presidente della coop?
«Da 16 anni, anche se è nata nel 1986 come realtà che si occupava della commercializzazione non di latte ma di piccoli frutti, un ruolo che ricopre tuttora anche se in misura marginale. Nel 2004 la coop Agordino ha assorbito tramite fusione tre latterie, facendo nascere il progetto del nuovo caseificio, in attività da gennaio del 2006. Oggi raggruppiamo 23 soci conferenti più 6 non soci. Ho deciso di impegnarmi per passione personale, perché sono figlio di agricoltori e ho il diploma agrario, ma anche perché credo nel progetto di mettere un caseificio a disposizione delle aziende della conca e della valle del Biois. L’idea era nell’aria da tempo e alla fine si è rivelata strategica per dare una casa e un supporto operativo agli imprenditori».
Quanto è importante il settore lattiero-caseario per l’Agordino?
«È fondamentale. Nel Novecento il nostro territorio contava moltissime latterie di ogni dimensione già aggregate in forma di cooperative, anche turnarie. Ricordiamo che la prima latteria cooperativa d’Italia fu aperta a Forno di Canale d’Agordo da Antonio Della Lucia nel 1872. Mano a mano è venuta avanti l’industria e pian piano le più piccole hanno chiuso. Gli allevatori sono rimasti soli, ecco l’importanza di un aggregatore come il nostro».
Quindi la coop è una presenza fondamentale.
«Rappresentiamo un punto di riferimento importante, per non dire essenziale, per garantire la permanenza di certe attività produttive anche nell’Agordino. La nostra presenza ha permesso a molti allevatori di radicarsi di nuovo qui, di tornare alle origini, per non parlare della manutenzione e della cura che vengono garantite ogni stagione con lo sfalcio dei prati, che è anche la principale fonte alimentare di vacche e capre. Su richiesta organizziamo anche visite guidate e ospitiamo stagisti degli istituti agrari e alberghieri».
Qual è il rapporto con la cooperativa Lattebusche?
«Direi ottimo: l’azienda è stata coinvolta nel nostro progetto di costruzione e lancio del nuovo caseificio, che aveva lo scopo di far risorgere quelle tre latterie cooperative, chiuse da anni ,ma custodi di pezzi di storia, cultura e tradizione contadina agordina. Peraltro erano ancora in possesso dei rispettivi immobili, un patrimonio che andava salvaguardato. Anche per questo nel nostro punto vendita vendiamo prodotti Lattebusche».
Che tipo di soci rappresentate?
«Abbiamo molti giovani, di cui due che hanno costruito la stalla dalle fondamenta al tetto anche grazie alla nostra spinta. Molti di loro hanno rilevato l’attività di famiglia e poi si sono messi in proprio, oppure facevano gli hobbisti e sono cresciuti nel tempo. Tre sono conferitori di latte di capra, il che ci permette di differenziare la nostra offerta. Ci sono anche diverse donne coinvolte nel progetto, ma in prevalenza si tratta di uomini».
Come ha influito l’emergenza Coronavirus nella vostra attività?
«Abbiamo fatto parzialmente consegna a domicilio in tutta la provincia, e anche oltre, spostandoci anche fuori regione. Abbiamo avuto una contrazione delle vendite nel nostro negozio di Agordo, con la scusa che i clienti non potevano spostarsi dal comune di residenza, almeno nella prima parte di gestione dell’emergenza. Abbiamo avuto un periodo di stallo, ma fortunatamente non abbiamo mai buttato via un goccio di latte e quando la situazione si è stabilizzata abbiamo ripreso a vendere anche a quelle persone che con la seconda fase hanno potuto raggiungere le seconde case e tornare a trovarci».
Come amministratore si sente custode del territorio?
«Il settore va promosso e pubblicizzato tra i consumatori, non a caso si chiama “primario”. Bisogna spingere sempre più il commercio di vicinato, la vendita di prodotti a chilometro zero, anche perché non è un contributo al singolo imprenditore, ma alla montagna intera. E questi sono tutti compiti che ricadono sulle nostre spalle. Tra le strategie vorremmo valorizzare le malghe affinché diventino sempre più attrattive per turisti e valligiani. Ci sono molte altre iniziative che potrebbero dare un bell’impulso, come lo stesso progetto DDolomiti. Bisogna trasmettere meglio il concetto di eccellenze, servirebbe quindi una promozione turistica mirata per far sì che più persone si avvicino alle nostre realtà, uniche nel loro genere». —
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