Un anno dopo Vaia, «La notte del crollo fu terribile, ma da qui non ce ne andiamo»

A un anno da Vaia. Eros e Gloria sono tornati nella loro abitazione dopo un esilio lungo undici mesi.  «Il rumore e l’odore del fango di quella sera resteranno scolpiti nella memoria»

MAS. La casa sopravvissuta a due alluvioni. Gloria Roni e il marito Eros Tormen sono tornati nella loro abitazione al Mas, tra la strada regionale 203 Agordina e il Cordevole. Erano stati sfrattati dal Comune di Sedico, dopo che la furia della tempesta Vaia aveva fatto finire nel torrente i vicini uffici della Roni, l’impresa di famiglia. Ma non potevano non rientrare, dopo un lungo esilio nella vicina Peron.

I due coniugi hanno ancora nelle orecchie il rumore del crollo e nel naso la puzza di quell’acqua pesante di fango e detriti. Gli occhi tradiscono una certa emozione, anche perché quella struttura costruita a regola d’arte da Angelo Roni aveva già resistito il 4 aprile 1966.


Adesso entrambi stanno meglio, nonostante le sofferenze patite in questi mesi: «Siamo tornati a casa nostra il 29 maggio, siamo felici», sottolinea Gloria Roni, «non ci sarebbe potuta essere una scelta diversa. Non avremmo voluto andare via da qui, ma il giorno dopo ci è arrivato lo sfratto esecutivo e siamo stati costretti a fare le valigie, insieme ai nostri due gatti. L’amministrazione ci aveva offerto un posto in hotel, ma abbiamo preferito affidarci alle nostre forze».

Nessuno ha mai pensato di tagliare le radici e andarsene chissà dove. Ed entrambi hanno coltivato, giorno dopo giorno, la speranza di tornare: «Siamo stati per una settimana in una casa di famiglia a Visome, che era chiusa da più di vent’anni. Una mia cugina che vive a Parigi aveva visto le immagini dei danni che avevamo subito su un telegiornale e ci ha offerto di passare i mesi successivi in un alloggio di Peron, dove abbiamo potuto riprendere a vivere normalmente, anche se sempre con un ricordo amarissimo di quelle ore».

Il 29 ottobre è una data scolpita nella memoria. Un lunedì impossibile da dimenticare: «La nostra vita è cambiata e un pezzo se n’è come andato, nel momento in cui gli uffici in cui avevamo lavorato per anni sono precipitati nel Cordevole. Non ce lo saremmo mai aspettati, perché all’altezza del vicino ponte che porta a Sospirolo e in valle del Mis il fiume era sceso a tre metri e mezzo e dal cielo cadeva una pioggia leggera. Verso le 17 ci avevano garantito che, in caso di pericolo, saremmo stati avvisati. Ma con l’arrivo del buio la situazione è precipitata. Ho fatto in tempo a scattare una fotografia con il telefonino alle 21.20: una ventina di minuti dopo gli uffici non c’erano più. Sono come implosi e solo il giorno dopo abbiamo potuto rendercene conto».

Tutto questo non poteva avvenire in silenzio. Dev’essere stata come un’esplosione: «Il rumore è stato pazzesco e l’odore del fango era terribile. Erano state aperte le dighe di Alleghe e Cencenighe e, insieme all’acqua, è sceso di tutto nel letto del fiume. Sono stati momenti interminabili. Non nascondo che stavo male e mi è venuto da vomitare, oltre che da piangere».

C’è stato il rischio di finire nell’acqua e perdere la vita, ma la casa ha resistito di nuovo. Come 53 anni prima: «Il 4 novembre 1966 avevo solo sei anni, però mi ricordo bene che l’acqua continuava a salire. Mia madre mi invitava a dire le preghiere, e i nostri paesani ci invitavano ad andare via. Non ci siamo mossi, perché un riuscivamo proprio a immaginare una vita lontano dal luogo in cui eravamo venuti al mondo. Ci aiutava la certezza che mio padre Angelo avesse costruito una casa capace di resistere a qualsiasi cosa e abbiamo avuto ragione. Stavolta è stata un po’ la stessa cosa: non si è mosso nemmeno un soprammobile e ho dovuto solo darle una ripulita, prima di tornare ad abitarci».

Nei mesi successivi al disastro, i Roni e i Tormen hanno dovuto arrangiarsi. La famiglia ha dato molto al paese, anche a livello sportivo con il Fiori Barp calcio, del quale Arone Roni è stato presidente per tanti anni, ma non sembra abbia ricevuto molto in cambio: «Nessun aiuto concreto, al di là della normale solidarietà. Ma non ci siamo nemmeno permessi di chiederlo, perché abbiamo il nostro orgoglio e la nostra dignità. Abbiamo fatto quello che potevamo, pur nelle difficoltà, perché mio marito ha avuto un grave problema fisico». La famiglia Roni ha vissuto anni di benessere poi, nel giro di pochi anni, è stata colpita molto pesantemente, prima dalla crisi economica e poi da Vaia: «Sessant’anni di storia e 100 dipendenti, prima del fallimento del 2010», conclude Gloria Roni, «l’anno scorso il crollo dell’azienda, che non era già più nostra. Abbiamo ricominciato da zero, del resto non avevamo alternative». —




 

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