Turismo e ristorazione in quarantena. Pesanti ricadute per Lattebusche

«Non le nascondo che la situazione è di forte preoccupazione. Noi continuiamo a raccogliere il latte dei nostri soci ed a produrre, perché è giusto farlo e farlo al meglio delle nostre possibilità, come sempre, ma questa emergenza ha cambiato completamente il nostro orizzonte». Antonio Bortoli, direttore generale di Lattebusche è un manager navigato, con all’attivo risultati ed esperienze non comuni. E che oggi si trova di fronte ad una sfida nuova ed inattesa: produrre generi alimentari di prima necessità nel pieno dell’esplosione del Coronavirus.
«Anzitutto come azienda siamo assolutamente d’accordo con tutto quello viene fatto per circoscrivere le possibilità di contagio. È necessario, non si può fare diversamente, ce lo dicono gli esperti: si devono limitare i contatti per limitare le possibilità di essere contaminati».
Come va la produzione in questi giorni?
«La produzione continua allo stesso ritmo, in sintonia con la raccolta di latte».
Che impatto prevede sui conti 2020 a causa del Coronavirus?
«Difficile dirlo, perché dipenderà molto dalla durata di questa emergenza. Consideri ad esempio che, mentre continuiamo a rifornire regolarmente i supermercati e la grande distribuzione organizzata, la linea distributiva Horeca, ovvero hotel, ristoranti, bar, mense, pizzerie, è praticamente ferma».
E l’estero?
«È un altro grosso punto interrogativo. Per noi vale quasi un quarto del fatturato grazie ad Agriform, la cooperativa di cooperative, partecipata al 40 per cento, che garantisce stagionatura, porzionatura e vendita al di fuori del territorio nazionale. Avevamo appena assorbito lo shock dei dazi americani, ed eccoci ad una nuova, gravissima emergenza».
Per il rispetto delle direttove del governo come vi siete mossi?
«Gia da tre settimane abbiamo assunto dei provvedimenti che poi sono di fatto diventati norma generale, tesi proprio a diminuire le possibilità di contatto, come evitare capannelli nei nostri punti vendita e far mantenere le dovute distanze. L’afflusso di clienti nei nostri Bar Bianco è sempre importante, ma si è stabilizzato dopo una fase iniziale di quasi accaparramento; c’è poi da dire che adesso, con le limitazioni di spostamento extra comune, i numeri sono ancora calati; inoltre abbiamo chiuso, come da normativa, la parte bar e ci limitiamo alla vendita di latte e prodotti derivati; infine abbiamo anche ridotto l’orario di apertura, che oggi va dalle 8 alle 12 e dalle 15 alle 18. Vedremo se sarà il caso di ridurlo ancora».
E nello stabilimento di produzione?
«Nella parte degli uffici, il personale lavora da casa o è in ferie. Nel settore della produzione, invece, da subito abbiamo provveduto ad applicare tutte le necessarie norme igieniche e poi anche a compartimentare i vari reparti, così da ridurre il più possibile i contatti. Abbiamo inoltre richiamato tutti i produttori alla massima attenzione e correttezza nella raccolta del latte, e così i raccoglitori».
Per la cooperativa lattiero casearia con sede a Cesiomaggiore è l’ennesima fase difficile da gestire di questi ultimi anni già caratterizzati dai problemi del prezzo del latte, finito sulle montagne russe con alti e bassi che hanno squassato il mercato mettendo in grave crisi molte aziende e di conseguenza molti allevatori. Superata la fase acuta, ora Lattebusche affronta a modo proprio la battaglia contro il coronavirus.
Per i 368 soci che operano in sette province e i 290 addetti saranno ancora mesi difficili. A dare forza all’azienda è la struttura dell’azienda fatta di sei stabilimenti con una produzione a circa 1.350 ettolitri di latte, oltre 3.000 punti vendita serviti giornalmente dalla rete, con i prodotti freschi e freschissimi e tanti altri formaggi, Piave dop in testa, che raccolgono il favore dei consumatori. La cooperativa di Busche ha chiuso il 2019 con un altro record di fatturato, superando i 110 milioni di euro (erano stati 108 nel 2018). —
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