Tosi: «Non c’è niente da festeggiare»

La grande accusatrice non era in aula. L’avvocato De Vecchi: «Dimostrate le pressioni illecite subite»

CORTINA. Tosi è a casa. Fino a ieri, la dirigente del Comune di Cortina non si era persa nemmeno un’udienza del processo Franceschi, ma stavolta aveva qualcosa di più importante da fare e non ci sono giustificazioni da presentare.

La grande accusatrice Emilia Tosi ha saputo dal suo legale di fiducia Sandro De Vecchi che il sindaco Andrea Franceschi era stato pesantemente condannato e, con lui, il vice Pompanin, l’assessore Verocai e il vincitore dell’appalto Sartori, ma ha accolto la comunicazione con una grande sobrietà. Nessun tappo di spumante è saltato, non sembra nel suo stile: «Non c’è niente da festeggiare», sintetizza al telefono con la voce rotta dall’emozione, «sarebbe stato meglio che tutto questo non fosse successo e non c’è altro da dire».

De Vecchi mostra, invece, grande soddisfazione per come è andata a finire una lunga vicenda processuale: «Siamo contenti, su questo non ci sono dubbi. Soprattutto perché siamo riusciti a dimostrare le pressioni illecite che Emilia Tosi ha dovuto sopportare, durante la sua permanenza all’ombra delle Tofane, a proposito di questo appalto suoi rifiuti. Eravamo convinti e lo siamo a maggior ragione adesso che abbia sempre operato nell’interesse dei cittadini ampezzani. Ha sempre fatto tutto quello che doveva fare, eppure è stata ingiustamente offesa dagli amministatori, che hanno cercato di condizionarne l’operato. È la sentenza che ci aspettavamo».

Il risarcimento danni è arrivato solo a metà. La richiesta era stata di 20 mila euro e il Tribunale ne ha accordati 10 mila: «I soldi erano l’ultima delle nostre preoccupazioni, ci mancherebbe altro. Non ci facciamo caso, perché la priorità era quella di otterene giustizia, a prescindere. C’è stato anche un danno economico, tuttavia quello che ci interessava era riuscire a provare che nei confronti di Tosi ci sono state queste pressioni illegittime e direi che ci siamo riusciti pienamente, anche grazie al fatto che la mia assistita ha sempre fornito una versione assolutamente coerente e credibile, senza mai cadere in contraddizioni. Non poteva che essere creduta dal collegio giudicante, che ha sentenziato di conseguenza, condannando». (g.s.)

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