Si stacca un pezzo della frana del monte Toc
Il boato ha svegliato all’alba gli abitanti di Erto, monitorato il corso di un torrente

La nuova frana caduta dal monte Toc
ERTO. Un boato nella notte e la gente di Erto si è svegliata di colpo. Erano quasi le cinque, ieri mattina, quando nella valle del Vajont si è propagato un rumore sordo, che arrivava dal monte Toc. Il rumore di una frana. Prima il brusco risveglio poi un intrecciarsi di telefonate. Italo Filippin, ex sindaco di Erto e ora da pensionato guida volontaria della memoria sulla diga, racconta: «Ci siamo sentiti al telefono, con alcuni amici». Ieri mattina erano centinaia le persone che si trovavano alla diga, turisti e scalatori impegnati sulla palestra di roccia.
Ma erano molte le persone, ieri, sia di Erto che turisti di passaggio, ferme nelle piazzole lungo la statale che dal paese porta alla diga o sulla strada che corre attorno al lago, sul lato sinistro della valle.
Tutti fermi e in silenzio per guardare e ascoltare la nuova frana del Toc. C'è un senso di angoscia a vedere la montagna che ancora si muove, dopo 45 anni da quando 250 milioni di metri cubi di roccia e terra precipitarono dentro il bacino del Vajont, facendo uscire una montagna d'acqua che uccise 2000 persone.
Questa volta la frana non fa paura, angoscia sì, ricordi tanti, ma paura no.
Sono cadute migliaia e migliaia di metri cubi di terra, che si sono staccate dalla gobba della M (la strana conformazione della frana, in alto sul monte Toc) nella parte che guarda verso Erto.
Dall'orlo della frana, dall'alba di ieri mattina e per tutta la giornata si sono staccati blocchi di roccia, di terra, di sassi, alberi e radici, che sono precipitati per duecento metri, fino ai piedi della roccia bianca, altra caratteristica della frana del monte Toc.
Per tutto il giorno si sono potute vedere le nuvole di polvere che si alzavano in continuazione dalla base della parete di roccia, man mano che dall'alto cadeva i pezzi della frana. E soprattutto per tutto il giorno la frana si è sentita: un rumore continuo, sordo. Un momento più basso, un momento più forte. Un rumore che mette i brividi anche a chi quella frana non l'ha mai ascoltata. E ancora di più a chi quei rumori li ha ancora ben fissi nella mente.
Di crolli se ne sono visti altri, nei quattro decenni dalla frana del 9 ottobre 1963. Lo ricorda lo stesso Filippin, mentre racconta la storia del Vajont ai turisti che passano sul coronamento della diga.
«Frane dovute al disgelo, al dilavamento delle rocce durante le piogge», spiega Filippin.
Ma una botta così, non se la ricorda nessuno. E lo conferma anche il sindaco di Erto, Luciano Pezzin, che è andato in sopralluogo nel pomeriggio. A occhio e croce il primo cittadino calcola che si sia staccato un pezzo di diecimila metri quadrati di roccia e terra, lungo duecento metri e alto cinquanta.
«Ho scattato delle fotografie», racconta il sindaco. «Le confronterò con altre che ci sono, per capire quanta parte di montagna si è staccata. In passato erano caduti sassi e terra, ma non di queste proporzioni».
Il sindaco non ha sentito il boato della frana. Stava guardando in televisione il campionato del mondo di motociclismo e ascoltava attraverso le cuffie per non disturbare i famigliari. Ci hanno pensato i suoi concittadini a chiamarlo. «Erano le 5 quando ho ricevuto la prima telefonata», racconta. Di pericoli, come detto, non ce ne sono, ma l'amministrazione di Erto terrà sotto controllo la situazione di quella parte della frana, soprattutto per un aspetto, quello di un rio che scende proprio lì. «Da quel crinale scende dell'acqua - spiega Pezzin - già in passato una parte era deviata verso un torrentello e l'altra scendeva in un avvallamento ai piedi delle rocce. Ora pare che la frana abbia deviato completamente il rio, che finisce tutto nel torrentello. Bisognerà tenere d'occhio le sponde, per evitare problemi».
In quella parte della valle, la riva sinistra del Vajont, ci sono delle piccole frazioni, dei gruppi di case, alcune sono abitate.
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