Schiavi delle slot: un mese di stipendio per sfidare la sorte

FELTRE
Quando il bar alza le serrande sono già là fuori, aspettando di entrare e di ricominciare. Compulsivi, ostinati, irragionevoli giocatori: il loro posto è davanti alle slot machine. Per alcuni la partita con la sorte dura un paio di minuti, giusto il tempo di vincere – o perdere – qualche decina di euro giocandosi il resto del caffè. Per altri può andare avanti per ore, anche un’intera giornata. La sfida si accende, la speranza nella legge dei grandi numeri, per cui prima o poi si vincerà, spinge ancora più avanti. Se a sera ci hanno rimesso lo stipendio, vanno a casa sconfitti e umiliati. Qualcuno, non contento, ritornerà perché deve vincere, e finché non ce la farà non saprà fermarsi, anche a costo di indebitarsi, di far soffrire una famiglia di ristrettezze. La dipendenza da gioco d’azzardo, in particolare da macchinette, è una realtà tristemente attuale e diffusa anche a Feltre, ma quasi del tutto sommersa. A viverla sono soprattutto uomini adulti e spesso non benestanti. Le donne sono in aumento, mentre i giovani sembrano ancora essere estranei alla dipendenza, vivendola più come passatempo (vige il divieto per i minori di 18 anni).
Con la crisi la mania del gioco è dilagata: sono molte le persone che sperano di potersi riscattare con una vincita. Il gioco on-line per ora è riservato a pochi smanettoni: la fascia di età più immersa nella "ludopatia" non sempre è pratica nell’uso del computer. Gli esercenti, baristi e gestori di sale da gioco, svolgono un ruolo fondamentale. Le “new slot” sono diventate parte dell’arredamento di quasi tutti i locali. «Io non cambio in moneta perché non voglio che si trasformi in un posto per giocatori», racconta un barista. Un dipendente, in controtendenza rispetto ai colleghi, ammette: «Quando vedo che si fanno prendere la mano, provo a dirgli di stare attenti o di smettere e andarsene. Ma non mi ascoltano». C’è chi non vuole parlarne, perché le slot sono un affare e perché «ognuno gestisce la sua attività come preferisce». Ma uno più coscienzioso ammette che «dovrebbero farle funzionare a fasce orarie» oppure anche che «dovrebbero farle sparire, lo Stato dovrebbe intervenire». Ma lo Stato è il primo responsabile di questo mercato.
Tra i baristi sono rimasti in pochi a sottrarsi al business. Far quadrare i conti del mese è già difficile, con la crisi che c’è. Solo l’idea di rinunciare a queste entrate soffoca la compassione per i ludopatici.
Davanti a queste macchinette c’è una ragazza di una trentina d’anni che in un giorno si è giocata oltre mille euro, e che punta su più macchine contemporaneamente nella speranza di vincere. C’è un ragazzo che, in una vertiginosa sfida contro se stesso, gioca in ogni posto perché deve vincere, sempre e dovunque. C’è un artigiano che, in tempi di crisi, affida alle slot la speranza della sua risalita. C’è una coppia che si trascina vicendevolmente davanti agli apparecchi, dove una mano spinge l’altra verso il buco delle monetine, nessuna si tira indietro. C’è un ventenne che corre a casa a raccattare gli spiccioli, pur di giocare ancora, anche solo una partita. C’è una signora di mezza età che ci rimette 700 euro ma va via vittoriosa perché ne ha vinti 300. Poi c’è sempre qualcuno si giustifica col gestore, negando di avere un problema. Qualcun altro va di locale in locale, perché in fondo si vergogna, sa che si sta rovinando. E c’è, anche qui, chi rischia la casa, dissemina debiti, non sa mantenere una famiglia perché deve mantenersi il gioco. Al Sert sono pochi i soggetti che hanno chiesto aiuto per affrontare la dipendenza, spesso correlata a problemi con alcol e droga. L’ostacolo più grande da superare, per tutti, è riconoscere la patologia e lasciarsi aiutare. Ma quella è una partita ancora più dura da vincere.
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