Savio, una luminosa figura di sacerdote

BELLUNO. Non solo la Chiesa diocesana di Belluno-Feltre ma tutti i bellunesi si preparano a ricordare, con commozione, mons. Vincenzo Savio, il vescovo morto prematuramente 10 anni fa. Il successore, mons. Giuseppe Andrich, ha preparato un libro che ne ricorda l’insegnamento. Ma c’è chi aspetta, con ansia, anche l’apertura del processo di beatificazione.
Tra questi Aldo Bertelle e la Comunità di Villa San Francesco, tenuti in grande considerazione, oltre che amicizia, da Savio, e che ne hanno commemorato la figura e l’opera in un recente incontro, con le testimonianze dei giovani ospiti di Facen, alla presenza di mons. Andrich e di numerosi amministratori.
L’apertura dell’itinerario verso la beatificazione – che lo stesso Savio nel 2003 volle per papa Luciani – è stata suggerita nel passato da due salesiani importanti, l’allora segretario di Stato, il card. Tarcisio Bertone, ed il feltrino mons. Enrico Dal Covolo.
«Vincenzo - così semplicemente lo chiama mons. Andrich - è stata una figura molto luminosa». Anzitutto perché era un cultore della bellezza. Fu lui a volere i percorsi fra le chiese delle diverse vallate della provincia per riscorprirne il patrimonio artistico. Fu lo stesso Savio a portare da Firenze il volto di Cristo del Beato Angelico: «Se io diventassi Papa, anche per un giorno solo, farei santo protettore di tutti gli artisti il beato Angelico, per la bellezza della sua opere» confidò durante un’inaugurazione a San Gregorio nelle Alpi, come ha ricordato Andrich a Facen.
Ma il vescovo di origini bergamasche, passato per Livorno, è stato “luminoso” anche nella sua testimonianza di vita e di Vangelo. Ancora Andrich: «La parola ‘meraviglia’ è veramente l’espressione della sua anima. 10 anni fa mi volle vicino, la considerava una fortuna avermi accanto a lui anche nella sofferenza. Il fatto che più mi colpì allora è che soffrisse moltissimo pensando ai risultati di quell’inchiesta in diocesi dalla quale risultava che Gesù Cristo non era al centro, non era la passione dei nostri cristiani. Era davvero preoccupato. Per questo nel mio stemma ho scritto che è lui, Cristo, che deve crescere. Ho visto Vincenzo che calava dal punto di vista fisco, ma cresceva in lui l’amore, la passione, il desiderio di vivere quasi pronunciando quelle parole: non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me».
Non ci sono dubbi per mons. Andrich. «Il periodo più fecondo di mons. Savio è stato quello del dolore, della sofferenza. La malattia è stata la palestra della sua vita».
Vasta la partecipazione all’iniziativa di Bertelle. «Sono grato a Dio di averci dato un maestro, un apostolo, un intercessore nella persona del Vescovo Vincenzo Savio» gli ha scritto il neocardinale Loris Capovilla. Commosso il ricordo, in quella serata, di Emanuele Gaz, addirittura con le lacrime sul volto di alcuni presenti. «Forse, prima di questa serata, Vincenzo mi avrebbe detto: “Dammi il cinque”, forse non l’avrebbe fatto, ma sarebbe stato comunque contento perché come disse lui: “Con i giovani i sogni diventano futuro”, lui ne è la prova. Non diceva forse il piccolo Vincenzo ai suoi amici di voler diventare prete come Don Manzoni, come Don Battista, come Don Maffioli?».
Gaz ha fra l’altro rilevato che al vescovo Savio piaceva la canzone ‘Meraviglioso’, di Modugno. Che lui stesso non mancava di cantare. Modugno si impegnò per i diritti dei disabili e degli artisti. Oltre alla melodia leggera e scorrevole, «il vescovo era sicuramente attratto dal significato del testo, che considera meraviglioso perfino il dolore. Savio si rispecchiò benissimo in questo testo, non baciò forse la terra del Passo Fadalto quando per la prima volta entrò nella diocesi, non la considerava forse meravigliosa? Ma io credo che se fosse ancora qui sulla terra, gli piacerebbe sicuramente il brano “Viva la Vida” dei Coldplay, che nonostante la loro fama continuano a svolgere una vita normale al contrario di molti gruppi musicali».
Don Giuseppe Bratti è stato segretario di Savio. «Quando in vescovado arrivava qualche suo amico, da Livorno o da altri luoghi, subito me lo presentava e cercava che i suoi amici diventassero anche i miei – è uno dei tanti ricordi che si porta appresso il sacerdote che oggi dirige l’ufficio stampa della diocesi -: alcune di quelle amicizie le ho mantenute. Il tesoro più prezioso che abbiamo sono le relazioni con gli altri: il vescovo Savio mi ha insegnato che le relazioni vanno moltiplicate e non tenute riservate, come un tesoro geloso».
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