Safilo conferma i 700 esuberi e punta ai contratti di solidarietà

LONGARONE
Un piano industriale presentato interamente in inglese, l’assenza pesante dell’amministratore delegato Angelo Trocchia e nessuna parola sul futuro degli stabilimenti italiani. Ma soprattutto nessun passo indietro: sono stati confermati i 700 esuberi. L’incontro di ieri a Padova tra i vertici di Safilo e le organizzazioni sindacali (provinciali e regionali) ha portato ancora una volta a un muro contro muro. Se da un lato l’azienda ha parlato dell’intenzione di superare il tetto del miliardo di euro di fatturato nei prossimi tre anni, dall’altro ha fatto capire che il mantenimento della produzione in Italia è legata alla presenza di Kering, il cui contratto scadrà nel 2023. Nel frattempo dovranno essere cercate nuove licenze e potenziati i marchi Safilo.
Prima, però, i tagli, a partire dal costo del lavoro, con i 700 esuberi, 400 dei quali nel solo stabilimento di Longarone. Irremovibili i vertici aziendali sulla possibilità di rivedere al ribasso questi numeri. «Ci hanno fatto capire che il personale rimasto sarebbe più numeroso di quel che servirebbe», sottolinea Giampietro Gregnanin, segretario della Uiltec veneta, che, insieme al collega della Femca Cisl Stefano Zanon, precisa: «Si tratta di un piano che guarda solo alla contingenza attuale e non al futuro di quello che a oggi è il secondo gruppo dell’occhialeria del mondo. Cosa succederà se Kering non dovesse riconfermare l’accordo di fornitura?».
Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil ribadiscono la loro contrarietà ai tagli e chiedono un confronto di merito sugli investimenti e sulle scelte strategiche per il rilancio della Safilo. Intanto gli incontri tra le parti sindacali continueranno, in vista del vertice al Ministero dello Sviluppo economico previsto per il 16 gennaio alle 15.
Tra i punti trattati, in primo piano il destino degli stabilimenti di Martignacco, Longarone e dei 50 esuberi di Padova. Per Martignacco, dove saranno licenziati 250 dipendenti, c’è l’ipotesi di accedere alla cassa straordinaria a zero ore per chiusura prevista dal primo governo Conte. Nel frattempo Safilo ha già individuato un advisor (il nome indicato è quello della milanese Sernet Spa) per lavorare a stretto contatto con gli assessori della Regione Friuli Venezia Giulia: l’obiettivo è individuare un eventuale compratore o una strategia di reindustrializzazione della fabbrica.
Per Longarone, invece, si è si è insistito sui contratti di solidarietà per salvare i 400 posti di lavoro. Per Padova, infine, non è stato individuato alcun ammortizzatore sociali per i 50 lavoratori.
«Non sono soddisfatta di questo incontro perché il piano industriale non convince, non parla della produzione in Italia e, soprattutto, perché conferma gli esuberi», dice Denise Casanova, segretaria provinciale della Filctem Cgil. «Attendiamo venerdì per conoscere l’esito dell’incontro per il futuro di Martignacco e poi decideremo se continuare la trattativa o mettere in campo altre azioni».
Casanova si dice contraria anche ai contratti di solidarietà per Longarone. «Da parte della società vedo troppa fretta di chiudere con questi contratti, senza considerare che, dopo il JobsAct, chi utilizza questi ammortizzatori sociali percepisce il 50% dello stipendio. E poi non abbiamo alcuna garanzia che il lavoro resterà in valle. E ai problemi delle aziende dell’indotto chi ci pensa?».
Per la segretaria della Filctem Cgil bellunese sono troppe le incertezze su cui si basa questo piano industriale. «Quando ho chiesto cosa si impegnasse a fare l’azienda per rendere più appetibili i marchi di sua proprietà, non mi è arrivata alcuna risposta soddisfacente. Mi pare che i vertici abbiano soltanto voglia di togliersi di dosso il problema dei lavoratori il più velocemente possibile». —
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi